Vivere al tempo dell’inflazione
Le conseguenze per le famiglie e per le imprese. L’impatto sul debito pubblico italiano. Le possibili politiche da adottare, da una parte e gli interventi da evitare per non buttare ulteriore b
Le conseguenze per le famiglie e per le imprese. L’impatto sul debito pubblico italiano. Le possibili politiche da adottare, da una parte e gli interventi da evitare per non buttare ulteriore benzina sul fuoco, dall’altra. Intervista all’economista Carlo Cottarelli sullo scenario che si apre nel Paese con il ritorno dell’aumento dei prezzi
‘‘Questa è un’inflazione d’importazione. È come una tassa che stiamo pagando all’estero, a quei Paesi da cui acquistiamo energia e materie prime. Ciò che dobbiamo evitare sono politiche espansive generalizzate che rischierebbero di buttare benzina sul fuoco”. È questo il pensiero dell’economista Carlo Cottarelli, Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano. Con lui Varesefocus cerca di capire le conseguenze che potrà avere nei prossimi mesi il ritorno dell’inflazione sullo scenario economico. A febbraio l’Istat ha registrato un aumento generale dei prezzi per l’ottavo mese consecutivo, su livelli che non si vedevano da novembre 1995: +5,7%. A fare da spinta sono i costi energetici, che iniziano a scaricarsi anche sui beni alimentari. Il carrello della spesa è aumentato del +4%. Ma anche al netto di beni alimentari freschi e di energia, la crescita è comunque sostenuta: +1,7%.
Professor Cottarelli, sullo scenario economico e sociale è tornata ad affacciarsi l’inflazione. Cosa ci dobbiamo aspettare a livello macroeconomico?
L’attuale aumento dei prezzi a cui stiamo assistendo è dovuto soprattutto al rincaro dell’energia e delle materie prime, ossia di prodotti che importiamo. Questo vuol dire che stiamo pagando una sorta di tassa nei confronti dell’estero. Lo Stato non può farsi completamente carico di questo aumento di costi per famiglie e imprese. Può assorbire una parte, ma non certo tutto. Attualmente, però, dobbiamo sottolineare che l’impatto sulla nostra crescita economica si sta traducendo in un rallentamento della ripresa che l’anno scorso è stata molto forte, non in un suo totale stop. Gli attuali livelli di inflazione non sono sufficienti per farci entrare in recessione.
Esclude, dunque, al momento impatti sui livelli occupazionali?
Anche qui bisogna intendersi e dotarsi della giusta chiave di lettura. L’occupazione in Italia non è tornata ancora ai livelli pre-pandemici del 2019 non perché la gente sia più scoraggiata che in passato, non perché stia aumentando la disoccupazione. Il vero problema è che negli ultimi due anni le persone in età lavorativa sono calate di 500mila unità. È una pressione che continueremo a subire anche nei prossimi anni. Qui il gap non è tanto economico, ma demografico. Un vero freno alla nostra competitività.
Torniamo all’inflazione. Quali sono le conseguenze sul lato microeconomico a livello di singole imprese e famiglie?
La prima conseguenza più evidente è che chi ha un reddito fisso da luglio ad oggi ha perso potere di acquisto. Dall’altro lato, per quelle imprese che non riescono a scaricare sul mercato l’aumento dei costi, si riducono i margini. Nel medio periodo, però, tutto si gioca sul livello dei tassi di interesse. Se lo scenario inflazionistico proseguirà la Banca Centrale Europea prima o poi sarà costretta a intervenire per porre un freno all’incremento dei prezzi e dovrà dunque aumentare i tassi. Ciò avrà inevitabili ripercussioni sui patrimoni delle famiglie. Quelle che hanno prestiti indicizzati dovranno fare fronte ad un aumento della spesa, il denaro costerà di più, così come il ricorso al credito. Anche per le stesse imprese. Il tentativo di raffreddamento dell’economia da parte della Bce, inoltre, farà diminuire la ricchezza di quelle persone che hanno investito in titoli di Stato a tassi fissi.
Questo scenario inflazionistico è passeggero o durerà nel tempo?
Dipende da ciò che decideranno di fare le banche centrali. La Federal Reserve negli Stati Uniti ha già annunciato che interverrà ritoccando i tassi, ovviamente al rialzo. La Bce in Europa non si è ancora espressa in tal senso. C’è però anche un aspetto di politiche economiche da tener presente. Impostazioni generose di sostegno all’economia, come quelle recenti resesi necessarie per attutire gli impatti sociali della pandemia, hanno reso più facile la speculazione. Politiche espansive comportano abbondanza di potere di acquisto e dunque possono alimentare l’inflazione. Così come l’attuale abbondanza di liquidità a tassi praticamente vicini allo zero.
Cosa vuol dire il ritorno dell’inflazione per un Paese dall’alto debito pubblico come il nostro?
Normalmente un aumento dell’inflazione alla tenuta del debito pubblico e ai conti dello Stato fa bene. Aumentano le entrate. Basti pensare all’Iva che è una percentuale sul costo dei prodotti. Se il costo aumenta, aumentano anche le entrate per l’Erario. A parità di tassi di interesse, inoltre, c’è un’erosione anche del valore dei titoli di Stato, che impoverisce le famiglie, come dicevamo, ma che ha dei benefici per lo Stato. Questo, però, nel breve periodo. Se poi le banche centrali dovessero intervenire e aumentare i tassi, anche per l’Italia costerà di più indebitarsi e il debito aumenterà. Quando si parla di debito pubblico e della sua tenuta, però, bisogna guardare sempre al suo rapporto con il Pil. Per questo è centrale analizzare le cause dell’inflazione. Quella attuale, come detto, è un’inflazione da importazione che fa meno bene di una inflazione domestica a cui si accompagna sempre una crescita del Pil e dunque ad una maggiore capacità di tenuta del debito pubblico.
Quali sono le politiche economiche da mettere in atto?
Bisogna proteggere le fasce e le categorie che ne hanno più bisogno con interventi mirati. Sussidi generalizzati, a cascata o diffusi, possono avere come conseguenza un aumento della domanda di energia e dunque rischiano di essere come benzina sul fuoco. L’inflazione verrebbe alimentata.
Cosa avverrà ora sul fronte dei salari e della contrattazione?
I salari sono oggi compressi. Non c’è molto da fare: le rivendicazioni su questo fronte arriveranno, è inevitabile. L’inflazione, però, come dicevamo anche prima, è una tassa che sta pagando tutto il Paese, imprese comprese. Il rischio che si deve assolutamente evitare in questo scenario è una rincorsa tra salari e aumento dei prezzi. Ciò vorrebbe dire alimentare una spirale.
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