Una provincia che scompare
Ci sono i 65mila varesini residenti all’estero (come Gallarate e Luino messe insieme). I 32mila frontalieri che lavorano in Svizzera (l’equivalente di Saronno). Ma soprattutto i 24.500 g
Ci sono i 65mila varesini residenti all’estero (come Gallarate e Luino messe insieme). I 32mila frontalieri che lavorano in Svizzera (l’equivalente di Saronno). Ma soprattutto i 24.500 giovani Neet (più della città di Tradate). È come se mancasse all’appello dello sviluppo un intero pezzo di territorio in fuga. Senza contare una curva demografica impietosa, a cui si accompagnano gli insufficienti livelli di laureati e di diplomati per far fronte alle richieste di competenze delle imprese
I problemi demografici da sempre muovono la storia. L’energia di un popolo dipende anche dal suo equilibrio interno in termini di popolazione. Non serve scomodare il Ratto delle Sabine di romana memoria per comprendere come da questa curva, quella demografica appunto, dipenda la sostenibilità di qualsiasi modello di sviluppo economico e sociale, così come la competitività internazionale di un Paese. Le capacità di crescita di un territorio e delle sue comunità, sotto qualsiasi aspetto le si voglia guardare, dipendono strettamente dalla composizione della sua popolazione. Ed ancor più strettamente dall’energia che riesce ad esprimere. È qui che diventa fondamentale l’apporto dei giovani e le competenze presenti. Perché lì si nasconde il potenziale. E Varese sul proprio equilibrio demografico ed energetico ha molto da lavorare.
Le proiezioni demografiche al 2031, che sono già scritte nei dati di oggi, ci avvertono che la provincia progressivamente si squilibra. Con una popolazione anziana dai 65 anni in su che toccherà il 27,5% (contro il 24,5% attuale), con una popolazione attiva che potrebbe scendere al 61,5% ed una fascia di giovani attorno all’11%. Un ragazzino ogni 3 nonni circa. I territori che progrediscono sono quelli che conservano vitalità, che hanno in sé l’entusiasmo e la creatività dei giovani capaci di intraprendere sempre nuove iniziative e cambiare il mondo. Eppure, giovani e meno giovani, sono in molti a decidere di portare altrove le proprie competenze. Solo negli ultimi 5 anni sono saliti del 18,4% i varesini iscritti all’Aire (l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), superando quota 65mila. È come se fossero emigrate le città di Gallarate e Luino messe insieme. E purtroppo non è la sola via di fuga. Su un altro fronte, quello svizzero, “perdiamo” circa 32mila persone che ogni giorno varcano il confine come frontalieri. L’equivalente della città di Saronno. I pendolari verso Milano sono difficilmente quantificabili.
Tuttavia, quello che più preoccupa sono i giovani che non partecipano. Quei Neet (acronimo inglese che sta per “Not engaged in Education, Employment or Training”) che stiamo perdendo alla vita attiva. Un bacino di circa 24.500 giovani (molto più della città di Tradate), tra i 15 e i 29 anni, che per diverse ragioni non risultano né occupati né inseriti in un percorso di istruzione. I motivi possono essere differenti, ma rimane la sensazione di un disagio di fondo che merita attenzione. Di fronte a queste dinamiche demografiche, il risultato è quello di una provincia che fa sempre più fatica a mantenere un equilibrio soddisfacente in termini di numeri e competenze disponibili sul mercato del lavoro locale. I numeri sono importanti, ma lo è altrettanto la qualità e le imprese ben lo sanno. Perché sono chiamate ad affrontare la cosiddetta “metamorfosi del mercato del lavoro” in cui l’interazione uomo-macchina (che apprende) interviene sulle mansioni, sui profili professionali e sulle competenze necessarie in modo profondo. Si sta aprendo un nuovo orizzonte per il lavoro o, meglio, per i lavori (al plurale), come sostiene Daniele Marini nella ricerca del Mercato del lavoro promossa da Federmeccanica. Il tradizionale confine tra lavoro manuale e intellettuale impallidisce di fronte alla realtà oggettiva delle mansioni svolte da molti occupati in una fabbrica moderna in cui tecnologia e servizi sono penetrati profondamente.
Le statistiche tradizionali non arrivano ancora a fornire una descrizione sufficientemente analitica delle competenze soft richieste ai lavoratori di nuova generazione; tuttavia, è interessante ragionare su alcune evidenze. Innanzitutto, il livello di istruzione della popolazione con più di 15 anni sta migliorando man mano che cambia la distribuzione delle coorti di età nella curva demografica. Sale il tasso di laureati della provincia di Varese (14,4% nel 2020 vs 10,9% nel 2013), ma rimane al di sotto della media lombarda (16,5%) ed anche della media nazionale (15,3%). Si potrebbe fare di più in una provincia con due importanti poli universitari. Al contrario con il 39,2% di diplomati Varese rimane invece al di sopra della media sia lombarda (37,7%) sia nazionale (36,6%). Dal punto di vista della composizione, i diplomati appartengono per lo più all’area liceale (46,1%), seguita da quelli dell’area tecnica (36,5%). Sono invece in progressiva diminuzione le aree professionali, attestatisi al 17,4% nell’anno scolastico 2021-22 contro il 22,7% di appena un quinquennio prima. Una volta raggiunto il diploma, poi, più della metà (54,5%) decide di intraprendere il percorso universitario. Ciò significa che, mal contati e senza distinzione per diploma di provenienza, entrano nel mercato del lavoro poco meno di 3.400 diplomati residenti in provincia di Varese ogni anno. Solo le imprese manifatturiere sono circa 7.700.
Il problema è tutto lì. Problema che si aggrava ulteriormente se si vanno ad indagare le specializzazioni dei diplomati indipendentemente dalla scelta se proseguire o meno negli studi. Nell’area tecnica si individuano due grandi settori: il settore economico e turismo con 1.350 diplomati ed il settore tecnologico con 1.340 diplomati. A cui si aggiungono i liceali, 3.400 di cui la maggior parte dell’area scientifica (1.400) e l’area professionalizzante dell’istruzione professionale Ip (1.000) e istruzione e formazione professionale IeFP (290). Anche volendo tenere conto dei circa 4.600 laureati annui residenti in provincia di Varese, che non è detto che qui lavorino, e che si rivolgono a molteplici sbocchi professionali, se si va dall’area umanistica a quella tecnica a quella sanitaria, il problema rimane. Insomma, incrociando numeri, specializzazioni e fughe dal territorio si intuisce facilmente quale sia il contesto in cui matura il famoso mismatch del mercato del lavoro. Un fenomeno che sta segnando pesantemente le prospettive del nostro sviluppo, di economia, ma anche di società capace di crescere. Di fronte a un pezzo di provincia che scompare, qualcosa dovremo pure inventarci.