Quel cuneo da scalare
La differenza è abissale: ogni 100 euro dati in busta paga ad un lavoratore, a un’impresa italiana costano 187, ad una svizzera 129,4. Qualsiasi partita sugli oneri fiscali e previdenzia
La differenza è abissale: ogni 100 euro dati in busta paga ad un lavoratore, a un’impresa italiana costano 187, ad una svizzera 129,4. Qualsiasi partita sugli oneri fiscali e previdenziali è ingiocabile. Ma la desertificazione industriale del Nord della provincia di Varese e i suoi problemi di sviluppo non dipendono solo dalla competizione con i vicini elvetici. Le carenze infrastrutturali e di collegamento sono un altro freno per un vero rilancio che, però, non è impossibile
Il rapporto del cuneo fiscale da una parte e dell’altra del confine è di 1 a 2. Fatto 100 un ipotetico netto in busta paga di un lavoratore, ad un’impresa svizzera costa intorno ai 129,4 euro, ad una italiana 187 euro, secondo le ultime rilevazioni del Centro Studi di Confindustria Varese. Se a ciò si aggiunge la fotografia di un tessuto produttivo con specializzazioni manufatturiere simili, è facile capire come per le imprese italiane sia difficile vincere un derby che si svolge su un medesimo campo di gioco, ma con regole completamente diverse. Svantaggiose per il made in Italy. Frontalierato, ma non solo. Carenza di competenze, gap infrastrutturali, necessità di maggiore connettività, possibilità di accesso a risorse europee per aree in difficoltà.
Questi i temi al centro del riposizionamento competitivo del Nord della provincia di Varese. Una priorità ritornata tale nell’agenda politica locale anche sull’onda del percorso di ratifica da parte del Parlamento italiano del nuovo accordo sulla tassazione dei lavoratori frontalieri che andrà a sostituire quello precedente del 1974 e che entrerà in vigore, dopo il recente via libera finale del Senato, a inizio del prossimo anno. Ma a ripuntare i riflettori sulle possibilità di sviluppo del Varesotto più settentrionale è stata anche Confindustria Varese, che a Luino ha tenuto una delle 6 tappe di presentazione al territorio del Piano Strategico #Varese2050. Un documento che dedica proprio alla zona di confine specifiche proposte di rilancio.
“Sappiamo – commenta il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi – quanto sia complicato trattenere e fidelizzare le persone di fronte alla forza attrattiva della Svizzera. Le imprese socialmente responsabili, però, sono quelle che si mettono in gioco per sviluppare know-how e dare chances ai giovani, qualunque sia la posta in gioco. Per questo da mesi stiamo lavorando, con un gruppo di aziende, all’apertura nel luinese di un corso post-diploma Ifts (dunque di un anno) di specializzazione in robotica e automazione. Ciò per venire incontro alle esigenze emerse dalle imprese del Nord della provincia che hanno sempre più difficoltà a trovare risorse umane in grado di aiutarle ad affrontare le transizioni tecnologiche in atto, oltre che processi di crescita”.
Grassi: “L’obiettivo è fare sistema nel territorio sul primo elemento di competitività: le persone”
L’opportunità offerta ad un gruppo tra i 12 e i 15 ragazzi di essere da subito assunti in una decina di imprese industriali per poi essere, nel frattempo, formati grazie all’iniziativa portata avanti insieme alla Fondazione Its Incom ha fatto il giro dei media locali e nazionali. In attesa, però, che la strategia e altre iniziative di rilancio prendano forma, i numeri rimangono impietosi. A fine 2022 i frontalieri italiani con un impiego in Canton Ticino sono arrivati a quota 77.517. La crescita negli anni è stata inarrestabile e vertiginosa. Gli attuali livelli sono in pratica doppi rispetto a quelli di due decenni fa. Basti pensare che nel 2002 di frontalieri se ne contavano 31.800. A pagare pegno, in termini di emorragia di risorse umane, sono soprattutto le economie provinciali di Varese (che si ritaglia il primato con il 42,1% dei frontalieri) e di Como (40,6%). Segue il territorio di Verbano-Cusio-Ossola con un, comunque, non indifferente 8,7%. D’altronde la competizione in termini di oneri fiscali e previdenziali sul costo del lavoro per le imprese italiane è impari. Al di qua del confine tali oneri arrivano a cubare il 46,5%. Per i colleghi svizzeri la quota scende al 22,8%.
A farne le spese è soprattutto la produzione manifatturiera. Il 21,4% dei frontalieri lavora in Svizzera proprio in questo settore. Competenze preziose di cui tutta l’industria varesina ha disperato bisogno, ma con un gap tra domanda e offerta di lavoro che proprio nelle zone del luinese, e più in generale di confine, si fa drammatica. Per il resto gli italiani con un impiego nell’economia elvetica sono impegnati nel commercio (15,6%), nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (12%), nelle costruzioni (10,6%).
Di fronte a questo scenario investire nella formazione, però, non può bastare. Per il Nord della provincia il Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese prevede di rilanciare l’azione di rappresentanza su due fronti: la richiesta alle istituzioni di misure di fiscalità premiale per le aree di confine e sul cuneo fiscale e di misure europee per valutare l’accesso alle risorse comunitarie per le “Zone C non predefinite”, ossia le aree regionali e sub-regionali, nelle quali ormai si può considerare di far rientrare il Nord della provincia di Varese, titolate a particolari deroghe nella disciplina relativa agli aiuti di Stato.
“Solo in parte – aggiunge Grassi – la pressione competitiva salariale verrà alleggerita dagli effetti della rivisitazione dell’accordo Italia-Svizzera sull’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri ratificato dal Parlamento italiano. Dovremo monitorare bene le conseguenze dell’accordo, ma ciò non può bastare”. I gap competitivi non sono solo fiscali. Le altre due priorità, per Confindustria Varese sono: migliorare i collegamenti infrastrutturali (viabilistici e ferroviari) e di connessione di rete per rendere più interconnesso e raggiungibile il Nord del Varesotto; puntare allo sviluppo di una vera e propria area di propulsione economica a Malpensa che faccia da traino insubrico a tutti gli effetti.
“L’obiettivo – chiosa Grassi – è fare sistema nel territorio sul primo elemento di competitività: le persone”.
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