Nuova archeologia in Valcuvia
Il gruppo di ricerca di antropologia dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese ha realizzato un percorso originale di scoperta intorno a tre siti archeologici, portando a
Il gruppo di ricerca di antropologia dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese ha realizzato un percorso originale di scoperta intorno a tre siti archeologici, portando alla luce storie e misteri sepolti ormai da secoli. Numerose scoperte bioarcheologiche sono ora disponibili grazie all’esposizione fisica e virtuale dei reperti rinvenuti dopo vari studi e scavi
Anni di scavi e di scoperte, pochi mesi fa hanno dato origine ad un nuovo percorso archeologico in Valcuvia. Un cammino accattivante ed originale, dalle innumerevoli chiavi di lettura ed esperienze, che mescola archeologia e misteri, arte e storia locale. È il frutto dell’indagine dei resti umani antichi in valle che da pochi mesi può essere fruibile dalla comunità intera. E racconta anche eccellenze di oggi: a renderlo possibile è stato il gruppo di ricerca di antropologia dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita, diretto dal professor Luigi Valdatta, che ha realizzato un nuovo percorso di visita intorno a tre siti archeologici, grazie al finanziamento ottenuto all’interno del bando Emblematici Provinciali 2019 di Fondazione Cariplo e Fondazione Comunitaria del Varesotto. Il progetto, intitolato “I paesaggi della Valcuvia. Riqualificazione ambientale attraverso un percorso archeologico: valorizzazione, tutela e fruizione”, è guidato dall’Università dell’Insubria, con Marta Licata come responsabile scientifico. I partner includono il Comune di Caravate, il Comune di Cittiglio e la Parrocchia di San Giulio Prete. L’obiettivo principale era terminare le ricerche bioarcheologiche sui vari siti, ai quali hanno partecipato per anni gli studenti universitari di Biotecnologie e Scienze biologiche, e rendere accessibili le scoperte tramite l’implementazione di un piano di valorizzazione. Ma si è trasformato in molto di più. Da epoche medievali a moderne, il nuovo percorso offre visitazioni uniche ai luoghi di sepoltura, presentate attraverso le evidenze funebri e i resti umani dei primi residenti di Valcuvia. Numerose scoperte bioarcheologiche sono ora disponibili grazie all’esposizione fisica e virtuale dei reperti. Per saperne di più sulle tappe di questo percorso e tutti gli approfondimenti, è possibile visitare il sito del progetto: I Percorsi della BioArcheologia.
Storie “da brivido”
Tra i “cold case”, ovvero i casi irrisolti, più affascinanti emersi durante gli studi ed oggi visitabili, c’è sicuramente la Tomba 13 nei pressi di San Biagio in Cittiglio, teatro di un delitto medievale il cui racconto è stato reso possibile da minuziose ricerche antropologiche. Grazie all’impegno dell’Associazione Amici di San Biagio, questa singolare scoperta è oggi esposta al pubblico. Allo stesso modo, si possono visitare i “cold case” e le tombe dei monaci francescani di Azzio, rinvenute all’interno di una cripta seicentesca, accompagnati da pannelli informativi e tecnologie digitali che mostrano le immagini raccolte durante le indagini. Il sito medievale di Caravate ha portato alla luce anche un caso raro di osteomielite oculare, il cui studio viene presentato nel sito archeologico di Sant’Agostino. Questa scoperta fornisce un prezioso spaccato della vita dell’individuo, della sua malattia e del sistema di cure che i suoi cari hanno instaurato. Dallo stesso sito provengono numerosi esempi di traumi cranici su donne, conservati nell’Archivio Biologico di Caravate, presso l’ex biblioteca vicino alla necropoli di Sant’Agostino.
Scoperte affascinanti
Caravate, nella zona più pianeggiante della Valcuvia, è unito a doppio filo con Pavia e il suo Monastero di San Pietro. Infatti, nel 712 il Re Liutprando, uno dei più attivi legislatori longobardi, donò al Monastero la terra di Calariade (la moderna Caravate) con le chiese di Santa Maria e la chiesa in stile romanico di Sant’Agostino, piccola ma che aveva all’interno affreschi di grande importanza artistica, come una Crocifissione in stile gotico e un’Adorazione dei Magi, riportati alla luce solo durante un restauro nel 1965.
La chiesa di Sant’Agostino è molto particolare: ha una pianta rettangolare con due absidi contrapposte che la distinguono dalle altre chiese della provincia di Varese, essendo caratteristiche architettoniche tipiche dell’arte Carolingia. Carlo Magno, infatti, fu un grande innovatore per quel che riguarda l’arte dell’epoca. Nell’area cimiteriale adiacente la chiesa sono stati rinvenuti 23 scheletri e dallo studio di questi reperti si è potuto constatare che erano sia uomini sia donne, di ogni età, ma non anziani, in quanto in quel periodo l’aspettativa di vita era piuttosto bassa.
La popolazione non era alta, circa 140 centimetri per le donne e 160 centimetri per gli uomini. L’analisi sui denti ha poi permesso agli studiosi di risalire alla probabile dieta degli abitanti del luogo, che era basata soprattutto su pesce, graminacee e ortica. Le patologie più comuni delle quali soffrivano riguardavano i denti, le articolazioni e la colonna vertebrale, dovuti molto probabilmente al duro lavoro. Queste e altre valutazioni hanno permesso di risalire alla storia degli antichi abitanti della Valcuvia e alle strutture sociali che li caratterizzavano. Sicuramente un luogo da visitare, che porta con sé un carico di storia e mistero e che permette di affacciarsi sul passato per poter conoscere, come se viaggiassimo nel tempo, un popolo, le sue usanze, la sua vita.
Anni di scavi e di scoperte, pochi mesi fa hanno dato origine ad un nuovo percorso archeologico in Valcuvia. Un cammino accattivante e originale, dalle innumerevoli chiavi di lettura ed esperienze, che mescola archeologia e misteri, arte e storia locale
Nella Cripta di Azzio
Un altro sito da scoprire grazie alle ricerche svolte dall’Università dell’Insubria si trova ad Azzio. Riportata agli antichi splendori, la chiesa dei Santi Eusebio e Antonio è diventata il simbolo religioso del paese. Il primo edificio di culto dedicato a Sant’Eusebio risale all’VIII secolo d.C. ed ha subito durante i secoli almeno tre grandi interventi di rifacimento. Soprannominato “il Convento” (dato che era un convento dell’Ordine Francescano), questo edificio di culto, ora monumento nazionale, è un esempio quasi unico di architettura tosco-umbra in Lombardia. Di particolare interesse è la Cripta, il cosiddetto putridarium, uno spazio sotterraneo che si trova sotto l’altare maggiore. Al suo interno sono disposte 16 nicchie in cui erano deposti i corpi delle più alte cariche dell’Ordine. Qui, in una cerimonia che prende il nome di doppia sepoltura, i confratelli venivano seduti nelle esedre (ambiente a forma di emiciclo), per poi essere spostati in un ossario comune al termine del processo di decomposizione. L’ambiente ipogeo, ovvero sotterraneo, era una stanza in cui ne veniva probabilmente perpetuata la memoria, in una ritualità che comprendeva dei momenti di riflessione sulla morte, grazie ad un dialogo continuo fra vivi e defunti. Anche i “cold case” e le sepolture dei frati francescani di Azzio, scoperti all’interno della cripta seicentesca, sono nuovamente disponibili attraverso la visita delle strutture funerarie, dei pannelli esplicativi e dei sistemi digitali per la raccolta delle immagini ottenute durante le indagini scientifiche. Tra le curiosità emerse durante gli studi, anche quella di un maschio adulto, rinvenuto all’interno dell’ossario francescano, ma che frate non era. Il corpo risale ad un’epoca successiva all’abbandono della chiesa da parte dei frati. Un vero e proprio mistero.
Storie, ambiguità e segreti svelati, tutti da scoprire nel nuovo percorso bioarcheologico della Valcuvia.
Claudia Bressan, Archivio Biologico sito di Sant’Agostino a Caravate