Le imprese rosa sono più competitive
Le aziende con un giusto equilibrio tra uomini e donne nei team esecutivi hanno il 25% in più di possibilità di avere maggiori rendite rispetto ai propri concorrenti. È quanto em
Le aziende con un giusto equilibrio tra uomini e donne nei team esecutivi hanno il 25% in più di possibilità di avere maggiori rendite rispetto ai propri concorrenti. È quanto emerge da uno studio del World Manufacturing Forum sulla gender equality nel sistema manifatturiero dei Paesi Baschi. Un report realizzato per essere replicato in altre aree industriali europee e fare da stimolo a politiche inclusive sia pubbliche sia private
Le donne che lavorano per l’industria manifatturiera, a livello internazionale, sono ancora troppo poche. Se da un lato la forza lavoro, non solo in questo comparto, ma in generale, è rappresentata dal 47% di quote rosa, dall’altro lato, però, nel solo manifatturiero la percentuale del mondo femminile scende al 20% (dati International Labour Organization). Per tre donne su quattro, l’attività industriale non rappresenta un trampolino di lancio per la propria carriera professionale (Unido). Sono basse anche le percentuali che vedono le quote rosa ricoprire ruoli manageriali o apicali nelle imprese. Le amministratrici delegate, per esempio, sono solo il 9%. L’incidenza di donne che ricopre un livello senior è pari al 15%, quota che sale leggermente per le mansioni di livello medio: 24%. Trend differente, invece, e in crescita, tra le risorse più giovani: tra i livelli junior la quota sale al 33% (World Economic Forum), segno che qualcosa forse sta cambiando.
A raccontare questi dati, il Report “Women in Manufacturing: Impact of Women in Industrial Competitiveness”, presentato durante l’edizione 2023 del World Manufacturing Forum. Uno studio svolto da Grupo Spri Taldea (entità del dipartimento per lo sviluppo economico, la sostenibilità e l’ambiente per promuovere l’industria basca) in collaborazione con la World Manufacturing Foundation. Numeri poco incoraggianti che hanno portato i ricercatori a darsi delle spiegazioni su questo fenomeno. E i motivi sono i più disparati. Spesso sono legati ad un retaggio culturale che, molte volte, fatica ad intrecciarsi con le tendenze di una società sempre più moderna. “Lo stereotipo più comune, ancora oggi – si legge nel Report – è quello che interpreta la donna come figura che deve occuparsi prevalentemente della famiglia, rinunciando, spesso, alle proprie ambizioni e al successo professionale”. In questo scenario, la pandemia non ha certo invertito la rotta. Anzi, ha peggiorato le condizioni delle mamme lavoratrici: prima del Covid una donna dedicava in media 6 ore in più rispetto agli uomini alla cura dei figli. Oggi ne dedica 7,7. Un monte ore che equivale a 31,5 ore settimanali. In pratica, si tratta di un lavoro quasi a tempo pieno (dati Pwc).
Sono questi alcuni dei principali punti critici su cui l’industria manifatturiera deve lavorare per intraprendere una direzione futura in cui il ruolo della donna diventi sempre più centrale e strategico. E non solo, ovviamente, perché la parità di genere è una questione di diritti umani. “Ma anche perché il mondo femminile è un perno imprescindibile per il rilancio dell’industria”. Motore di crescita, driver di sviluppo e tassello fondamentale per il riposizionamento della competitività delle imprese. Analizzare il rapporto tra gender equality e competitività industriale, attraverso lo specifico caso studio svolto sullo spaccato dei Paesi Baschi: è stato questo lo scopo della ricerca che ha preso come esempio una delle regioni europee più adatte a questo fine. Per diversi fattori: peso delle attività industriali rispetto al Pil, perché quasi il 40% del prodotto interno lordo basco proviene proprio dalla produzione manifatturiera; per numero di donne presenti sul mercato del lavoro (44%) e per quote rosa che lavorano nel manifatturiero (21%).
Tra i consigli del Report: “Deve esserci un contesto normativo favorevole, che incoraggi l’innovazione rispettando le norme sulla protezione dei consumatori”
“In più del 60% delle imprese basche, le donne rappresentano meno del 20% dei componenti dei consigli di amministrazione – si legge nel Report –. Le figure femminili rappresentano il 21,74% della forza lavoro contro un 78% di presenze maschili. Solo il 13% delle realtà ha una donna al comando. E solo nel 19% delle industrie basche si può dire che ci sia una gender equality a livello di management”. Una situazione che si ripresenta nei vari comparti e dipartimenti dell’industria. Se si considerano i reparti più tecnici e tradizionalmente a predominanza maschile, come la produzione, i servizi generali e l’ambito dell’information technology (It), “solo nel 10% delle aziende c’è una situazione equa tra donne e uomini, scendendo al 7% nel reparto It”. Nel 67% delle imprese basche che hanno risposto al questionario del Wmf, le donne, in questi ambiti, sono rappresentate tra lo 0% e il 20%. Nei comparti meno tecnici, come il marketing, le vendite, le risorse umane e l’amministrazione, invece, il numero di figure femminili è maggiore. Come dire, i Paesi Baschi sono lo specchio di gran parte del mondo.
Interessante, però, è la parte dello studio che analizza le performance di quelle aziende guidate da un management gender equality. Capacità di gestire il rischio. Efficienza, creatività e innovazione. Maggior capacità decisionale. Queste alcune delle doti che vengono riconosciute al mondo femminile nei luoghi di lavoro. “Le aziende con una buona percentuale di quote rosa nei team esecutivi hanno il 25% in più di possibilità di avere maggiori rendite rispetto ai propri concorrenti – riporta il Report –. Un’impresa in cui il 30% dei leader sono donne potrebbe aspettarsi di aggiungere più di un punto percentuale al proprio margine se paragonata ad un’altra impresa, simile per dimensioni e fatturato, senza leader donne ai vertici. Investire nell’assunzione di figure femminili per aumentare la partecipazione alla forza lavoro porta a maggiori guadagni economici, con performance superiori del 29%”.
Dal report dello scenario basco, per il Wmf, emerge un dato di fatto: le aziende attente all’uguaglianza di genere sono più competitive. Proprio per questo, la ricerca vuole essere un esempio di studio da estendere anche ad altri Paesi e spaccati industriali. I risultati sono promettenti e potrebbero fungere da catalizzatore di politiche inclusive, che mettano al centro il bilanciamento tra vita privata e vita professionale, promuovendo luoghi di lavoro dove star bene e facilitando, per esempio, lo smart working, orari flessibili, congedi parentali per l’assistenza a familiari con difficoltà. Serve, dunque, costruire un piano che metta tutti, donne e uomini indistintamente, sullo stesso livello. A partire dai differenti dipartimenti che caratterizzano l’industria, passando per ruoli, mansioni e responsabilità. Fino a percorsi di crescita professionale, progetti ambiziosi, corsi di formazione e protocolli interni che definiscano regole e comportamenti. “Una realtà che adotta un approccio positivo, attenta ai bisogni delle sue persone, ha enormi vantaggi, anche in termini economici: miglior posizionamento sui mercati, crescita continua, maggior attività di ricerca e sviluppo e un carattere più internazionale”, garantiscono gli esperti del Wmf dati alla mano.
Lo scopo di questo studio è proprio quello di porsi come strumento utile e motivazionale per l’attuazione di azioni verso la gender equality: “Politiche che non devono trovare un’attuazione solo all’interno delle imprese. Serve una strategia corale, che coinvolga anche i governi dei vari Paesi”. Una sorta di missione comune da portare avanti tutti insieme. Solo camminando nella stessa direzione si possono fare passi in avanti. Solo così la manifattura tornerà ad assumere un ruolo da protagonista nel mondo. Questi risultati forniscono un caso di studio per tutte quelle Organizzazioni e policy maker che vogliono dare priorità a queste tematiche. La prova è tangibile e rintracciabile tra le pagine del Report.