Le coordinate del nuovo mondo

Le previsioni per il 2021: +5,2% la crescita del Pil mondiale, 90 milioni di persone a rischio nuova povertà, +7,2% l’aumento degli scambi commerciali a livello globale Il post-Covid n

Le previsioni per il 2021: +5,2% la crescita del Pil mondiale, 90 milioni di persone a rischio nuova povertà, +7,2% l’aumento degli scambi commerciali a livello globale

Il post-Covid non ci traghetterà in un mondo differente, ma piuttosto in uno scenario in cui i processi già in atto avranno subito una accelerazione e — in qualche caso — una radicalizzazione: la pandemia, in altre parole, sarebbe una sorta di “reagente” rispetto a molti capitoli come la crisi della globalizzazione, l’accorciamento delle catene di valore, l’inasprimento dei rapporti tra i maggiori competitori sullo scacchiere mondiale, l’esplosione del debito. “Dal punto di vista geopolitico — dice Alessandro Colombo, professore ordinario all’Università Statale di Milano dove insegna Relazioni Internazionali — il 2021 non sarà un anno facile: a rendere complicata la situazione peserà il fatto che l’uscita dalla pandemia e dalla crisi non sarà per tutti uguale. Peseranno le diseguaglianze oggettive, ma anche solo percepite tra Paesi e anche all’interno dei Paesi stessi”. 

Qualche numero

Il quadro economico di fondo può essere tracciato a grandi linee partendo dai dati dell’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (FMI): la contrazione del Pil a livello globale è stimata al 4,4% nel 2020 mentre per il 2021 possiamo aspettarci una crescita del 5,2% con tassi più elevati per i Paesi asiatici (6,3%) e decisamente inferiori, ad esempio, per gli Usa (2,9%). In base a quanto contenuto nel rapporto, la ripresa dovrebbe arrivare prima per i Paesi che hanno economie trainate dell’export, ma nel quadro generale non si può trascurare il fatto che 90 milioni di persone sono a rischio povertà: un dato che rappresenta un balzo all’indietro rispetto ai progressi fatti negli ultimi decenni. Dal punto di vista del commercio i dati più significativi sono quelli contenuti nel rapporto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) che, a fronte di una contrazione del 9,2% registrata nel 2020 prevede una risalita del volume degli scambi di 7,2 punti percentuali, un dato positivo, ma decisamente al di sotto dei volumi pre-Covid. 

Al di là delle singole percentuali quello che desta preoccupazione è la lettura complessiva dei numeri uno accanto all’altro. La pandemia inoltre ha richiesto uno sforzo e una spesa ingente da parte di tutti i Paesi, innalzando i livelli di indebitamento nei conti pubblici: stiamo parlando di percentuali dal 160% per l’Italia, 115% per la Francia e di oltre il 60% anche per la virtuosa Germania. “Se nella fase acuta della pandemia durante il 2020 è prevalsa la necessità di unire le forze e di collaborare — dice ancora Colombo — l’arrivo del vaccino e l’uscita dal tunnel con molta probabilità spingeranno di nuovo verso una maggiore attenzione per gli interessi interni dei singoli Stati, a discapito della cooperazione e della disponibilità a mettersi in gioco sui grandi temi internazionali. Il forte indebitamento sarà un grosso freno rispetto agli investimenti in aree che sono a rischio collasso, si pensi ad esempio alla Siria, con la conseguente instabilità che ciò comporterà per tutti in termini di conflitti e di migrazioni”. 

Usa e Cina: cosa succede adesso?

Ormai da anni ci siamo abituati a considerare la contrapposizione tra Stati Uniti e Cina come un aspetto caratterizzante lo scenario globale, dove lo scontro tra Trump e Xi Jinping ha preso la forma della guerra dei dazi commerciali o quella del braccio di ferro sul tavolo del 5G. “Per anni questa contrapposizione si è basata sulla reciproca difesa degli interessi interni di ciascun Paese — dice Colombo —. Con l’avvento della presidenza di Biden in realtà possiamo aspettarci addirittura un peggioramento dei rapporti tra le due potenze, soprattutto perché il neopresidente americano rimetterà al centro, come ha annunciato, il tema della democrazia e dei diritti umani. Una posizione che porterà ad acuire la distanza non solo con la Cina, ma anche con la Russia”. Tra le aree contese, a livello di influenza politica ed economica, tra i due colossi mondiali vi è quella dei Paesi del sud est asiatico. Qui la Cina ha segnato un punto a suo favore con la firma della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), accordo economico-commerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico) più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, che indica nuove prospettive per lo sviluppo economico della regione, ne promuove l’integrazione e segnala una sostanziale perdita di peso strategico nell’area degli Stati Uniti. In numeri questo accordo significa un’area di cooperazione economica di 2,2 miliardi di persone, che producono il 30% del Pil e il 27,4 % del commercio globali. E mentre la “nuova via della seta” ha subito uno stallo in questo anno della pandemia, proprio il 30 dicembre scorso Cina e Unione Europea hanno siglato il Comprehensive Agreement on Investment (CAI), un accordo bilaterale per gli investimenti che apre il mercato cinese alle imprese dei paesi membri dell’Ue, dopo sette anni di trattative: per la Cina il maggiore risultato è, in questo caso, non tanto quello commerciale ma quello che ottiene sullo scacchiere geopolitico in termini di distensione dei suoi rapporti con l’Occidente. 

L’Unione Europea scommette sul Recovery Fund

Sul finire del 2020 è stato firmato il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), accordo economicocommerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN  più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda

Per l’Unione Europea si tratta invece di un accordo che non solo ha rilevanti conseguenze dal punto di vista della cooperazione economica con la Cina in termini di reciprocità tra i due blocchi economici, ma che vede Bruxelles impegnata nell’agire de facto sullo scacchiere internazionale come soggetto in grado di negoziare e tutelare gli interessi di tutti i Paesi membri. Un risultato questo raggiunto anche nelle trattative per la definizione degli accordi commerciali con il Regno Unito post Brexit. Ma il 2020 per l’Ue è stato anche un anno segnato da altri due obiettivi raggiunti — pur con difficoltà — ovvero la definizione del bilancio per il prossimo settennato (2021–2027) e il varo di un piano cardine per la ripresa denominato Next generation EU, più noto alle cronache nostrane come Recovery Fund: stiamo parlando complessivamente di 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi saranno distribuiti attraverso sussidi e 360 tramite prestiti. “Se nell’affrontare la pandemia abbiamo visto una Unione Europea in grado di esprimere soluzioni comuni — dice Colombo — il timore è che l’uscita dalle difficoltà possa far riemergere le enormi pressioni interne da parte di chi non accetta un ruolo così centrale di Bruxelles”. Ad essere sotto la pressione delle urne c’è nientemeno che la Germania, che andrà al voto a settembre, e dovrà gestire il dopo Merkel dal momento che la popolarissima cancelliera non si ricandiderà. “Inoltre — continua Colombo — già fin dalle prime fasi dopo l’arrivo del vaccino si è assistito a malumori per la distribuzione tra Paesi membri dell’Unione e le differenze, reali o anche solo percepite, potranno essere causa di tensioni”. Il 2021 in generale non si preannuncia facile: ora che lo strumento del Recovery Fund è realtà, esso dovrà trovare attuazione nei piani concreti dei singoli Stati membri e la prova decisiva si giocherà nella capacità di utilizzo delle risorse messe in campo attraverso interventi che sappiano davvero far ripartire l’economia. Un’attenzione particolare dovrà anche essere rivolta all’ambiente, tanto che si parla anche di Green Deal europeo: le nazioni che richiederanno i fondi saranno infatti obbligate a spendere circa un terzo per la transizione energetica e la riduzione dell’impatto ambientale. 

Per saperne di più leggi anche:

Articoli correlati