Il rischio di nuove periferie digitali

Gli elevati investimenti necessari per l’implementazione della nuova rete, la struttura urbana fatta di pochi grandi centri e tante città di provincia, dove si concentra il cuore della pr

Gli elevati investimenti necessari per l’implementazione della nuova rete, la struttura urbana fatta di pochi grandi centri e tante città di provincia, dove si concentra il cuore della produzione industriale: ecco perché il 5G in Italia, a fianco a tante opportunità, potrebbe portare ad un aumento dello “speed divide” in aree strategiche del Paese

5G. Non solo un miglioramento delle prestazioni delle reti mobili, ma una vera e propria piattaforma in grado di abilitare la trasformazione digitale. Questa nuova tecnologia di cui tanto si parla, aggiunge alla già note altissime prestazioni trasmissive anche la possibilità di erogare servizi à la carte. È la rete che si adatta alle esigenze dei clienti, ospitando in modo sicuro e personalizzato alcune applicazioni ‘in tempo reale’, affrancandole dalla stretta dipendenza con i data center remoti e fornendo ad esse, come vedremo, la capacità, tramite l’uso di risorse di calcolo locali, di elaborare i dati direttamente sul campo. Si concretizza quindi la nuova frontiera dell’Edge Computing e dell’Internet delle Cose. Non solo telefonini, quindi, ma milioni di oggetti, sensori, sonde, droni, veicoli, macchinari industriali, tutti interconnessi secondo regole e progetti personalizzati. Potrebbe sembrare uno scenario futuribile e vagamente fantascientifico, ma è più probabile che su questo tipo di piattaforme si giochi parte dello sviluppo digitale, sociale ed economico dei territori. Ne è la prova l’elevatissimo livello di tensione internazionale che si respira intorno alla scelta dei fornitori per l’infrastruttura 5G.

Il nostro Paese e distretti ad alta intensità industriale, come quello varesino, si trovano ad affrontare uno scenario complesso nel quale alle potenzialità si affiancano gli elevati sforzi economici e tecnologici che devono essere profusi per poter cogliere in pieno le opportunità offerte da questa piattaforma tecnologica. Costi di licenza, di infrastruttura, per la ricerca, per lo sviluppo di nuove applicazioni. Un altro tassello del puzzle è composto da un Sistema Paese, il nostro, che, per dimensione tipica del suo tessuto industriale, ma anche per estensione dei suoi principali centri urbani, rischia di non essere un mercato maturo per l’Edge Computing rispetto ai giganti asiatici o statunitensi, spingendo così gli operatori a concentrare gli investimenti nella copertura di aree dove il ritorno dell’investimento sarà più sicuro. Questo stato di cose rischia di ampliare il divario digitale che già oggi soffriamo nel confronto di alcuni paesi (si pensi alla Cina) che stanno correndo sempre più rapidamente. I nostri grandi agglomerati urbani, le principali vie di comunicazione, gli stadi, i grandi spazi per eventi saranno quelli dove certamente saranno a disposizione tutte le migliori tecnologie di connessione, ma nelle aree più periferiche, già oggi penalizzate dallo “speed divide” se non si riuscirà a mettere a sistema tutte le tecnologie di accesso adeguate alla natura del territorio e non ci sarà piena cooperazione tra soggetti pubblici e privati,  il rischio di creare nuove periferie digitali, non solo penalizzate nella velocità di accesso ma anche nella fruizione di servizi evoluti, è dietro l’angolo. Ne abbiamo parlato con Guido Garrone, esperto di telecomunicazioni e attuale Chief Technology Officer di Eolo.

Il nostro Paese e distretti ad alta intensità industriale, come quello varesino, si trovano ad affrontare uno scenario complesso nel quale alle potenzialità si affiancano gli elevati sforzi economici e tecnologici che devono essere profusi per poter cogliere in pieno le opportunità offerte dal 5G

Se ci si basa sulle campagne di comunicazione degli operatori, il 5G sembra la soluzione a tutti i problemi di disponibilità di Banda Ultra Larga nel Paese. Mettendo da parte per un attimo i sogni e le previsioni più ottimistiche, quale può essere secondo lei uno scenario di implementazione attuabile e realistico?
Per lo standard 5G verranno utilizzate sostanzialmente tre diverse bande di radiofrequenza, ciascuna con diverse caratteristiche fisiche che le rendono più o meno idonee, ad esempio, alla copertura di grandi spazi aperti piuttosto che di zone ad alta densità abitativa o con significative presenze industriali, cioè laddove si prevede una altissima concentrazione di terminali di qualsiasi genere, siano essi smartphone o apparecchiature IoT (Internet of Things) in grado di comunicare tra loro. Alcune frequenze sono già disponibili, mentre altre sono attualmente occupate da canali televisivi ed occorrerà aspettare almeno il 2022 per poterle utilizzare. A fine 2018, con l’asta 5G, i principali operatori si sono aggiudicati porzioni diverse di spettro elettromagnetico per una spesa complessiva che ha superato i 6,5 miliardi di euro. Ma questo è stato solo l’inizio degli investimenti. L’infrastruttura per una rete 5G necessita di una rete molto fitta di antenne, sia per le caratteristiche fisiche delle frequenze in gioco, sia per i requisiti di qualità in termini di alta velocità trasmissiva e bassa latenza che questo standard offre. Dietro ad ogni antenna, ricordiamo poi, c’è sempre un filo che la interconnette alle reti veloci degli operatori. Inutile specificare che si tratta sempre di connessioni in fibra ottica. Mettendo tutto insieme è evidente che gli investimenti in gioco sono e saranno enormi. Alcuni operatori, proprio per questa ragione hanno iniziato a condividere gli sforzi creando società per la co-gestione delle torri radio.

Quali disequilibri si possono creare nelle aree meno urbanizzate del Paese? Non si corre il rischio di creare nuove “periferie digitali” nelle aree montane o più periferiche?
Possiamo dire che sarà per certo così. Parlavamo infatti di investimenti ingenti da parte degli operatori. È del tutto evidente che per gli stessi sarà importante avere un modello di business che consenta di ottenere rapidamente degli introiti in grado di ripagarli degli investimenti fatti e di sostenere quelli futuri. È normale quindi che si andrà inizialmente a dare connettività 5G nelle aree in grado di generare alti profitti, ovvero le grandi città o i luoghi di aggregazioni più significativi (stadi, palasport, stazioni, aeroporti, centri commerciali, ecc.) per mezzo di abbonamenti privati o business. Certo avremo miglioramenti nella qualità dei servizi, ma il 5G ha ben altre potenzialità che in Italia rischiano di rimanere inespresse. Se si analizza la situazione italiana nel suo complesso, considerando il nostro tessuto industriale composto principalmente da Pmi, è evidente che non c’è attualmente un mercato maturo che possa mettere a frutto l’Edge Computing, ovvero tutte quelle applicazioni cloud “di prossimità” in grado di realizzare una vera trasformazione digitale. Non dico che non ci sia del tutto, ma è ben poca cosa se si paragona al potenziale in termini di domanda generato da aziende/industrie di larga scala come quelle cinesi o statunitensi. Non credo invece che la copertura 5G possa vanificare gli attuali investimenti sulla fibra ottica fino a casa (FTTH) nei centri urbani. L’offerta sarà convergente con quelle esistenti. L’illusione tutta italiana di sopperire al divario infrastrutturale per la Banda Larga tramite la rete cellulare è rimasta appunto un’illusione. Il costo di trasporto di un bit tramite rete mobile rispetto a quello su rete fissa è infinitamente più alto e di conseguenza lo saranno i costi per gli utenti. Probabilmente prenderà piede un modello misto, che metterà a sistema le varie tecnologie sulla base della possibilità di ritorno degli investimenti.

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