Che valore diamo al lavoro
L’approccio delle persone al mondo lavorativo sta cambiando. Sempre più impiegati (soprattutto giovani) sono disposti ad abbandonare il posto fisso, anche senza un paracadute. La percezi
L’approccio delle persone al mondo lavorativo sta cambiando. Sempre più impiegati (soprattutto giovani) sono disposti ad abbandonare il posto fisso, anche senza un paracadute. La percezione e la scala di valori di alcune figure professionali è mutata radicalmente. I dati, nazionali e varesini, sullo smartworking e sul fenomeno, sempre più diffuso, delle dimissioni cercano di far luce sui cambiamenti in corso. Grazie anche ad una recente ricerca di Federmeccanica
Perché sempre più persone decidono di cambiare lavoro? Cosa cercano realmente i giovani? Come le imprese stanno modificando le proprie strategie per fidelizzare e attrarre talenti necessari per la loro crescita? Dove si trova il nuovo punto di incontro tra domanda e offerta di lavoro? Cosa dicono i dati? Prova a dare una risposta a questi e a molti altri quesiti una recente indagine promossa da Federmeccanica e realizzata dal sociologo Daniele Marini di Community Research Analysis “sulle rappresentazioni del lavoro degli italiani”. Il quadro restituito è quello di una vera e propria trasformazione del mercato del lavoro. A rispondere alla ricerca è stato un campione formato da 1.200 individui di tutta Italia, dai 18 anni in su. Quello che emerge è una visione del mondo del lavoro, in special modo da parte dei giovani, orientata alla crescita professionale e sempre meno legata al posto fisso. Nella ricerca si legge infatti che “gli anni di pandemia e l’esperienza dello smart working hanno modificato l’organizzazione del lavoro e gli stili di vita delle persone”. In altre parole, non basta più la sicurezza del posto fisso in sé e per sé, ma di pari passo hanno raggiunto una sempre più significativa importanza argomenti come il tempo libero, gli impegni familiari e la professionalità.
A trasformarsi, in maniera a dir poco repentina secondo l’indagine di Federmeccanica, è stata anche la scala dei valori attribuita a varie figure lavorative. A perdere prestigio, a livello di attrattività tra i più giovani, sono stati gli artigiani, i commercianti e anche gli insegnanti, letteralmente doppiati da blogger e influencer. Con queste premesse, è stato chiesto al campione della ricerca, cosa contasse maggiormente nella scelta di un’occupazione. Al primo posto svetta la sicurezza del luogo e della salute del lavoratore, seguito da un’atmosfera lavorativa piacevole, un giusto equilibrio tra vita professionale e privata e la buona reputazione dell’azienda. Molte le informazioni da interpretare e rielaborare per il mondo industriale, come spiega il sociologo Marini: “Un’impresa, se vuole attrarre un giovane, deve utilizzare una tastiera di argomenti più larga e che in qualche caso metta alla prova la cultura aziendale e la stimoli verso il cambiamento”, si legge nella ricerca.
È in costante aumento il numero delle persone che, per necessità o scelta, decidono di lasciare il proprio posto di lavoro: sono oltre 1,6 milioni le dimissioni registrate nei primi 9 mesi del 2022 in Italia, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021
L’indagine di Federmeccanica si è, poi, occupata anche della tematica delle “Great resignation”, ovvero delle “grandi dimissioni”, termine noto e ampiamente utilizzato negli Stati Uniti, che descrive un fenomeno di portata decisamente differente per il nostro Paese. Almeno per il momento. Negli Usa nel 2022 è stato raggiunto il record storico di 40 milioni di dimissioni dal lavoro, in crescita di oltre il 20% rispetto all’anno precedente. In Italia, invece, stando, agli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro, il costante aumento del numero delle persone che, per necessità o scelta, hanno deciso di dimettersi è arrivato a registrare 1,6 milioni di dimissioni nei primi 9 mesi del 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Una precisazione è d’obbligo: i dati analizzati comprendono il numero totale di rapporti di lavoro cessati per dimissioni, ma non il numero dei lavoratori coinvolti. Il che significa, in parole povere, che la stessa persona può essersi dimessa più volte in un anno. Tecnicismi, ma la sostanza non cambia: il fenomeno è in crescita anche da noi.
Secondo l’indagine di Federmeccanica, tra le motivazioni principali per lasciare la propria occupazione, spesso senza neppure un paracadute di salvataggio, nel 34,8% dei casi c’è il desiderio di aumentare la propria retribuzione, seguito da un 19,6% di voglia di migliorare la propria salute fisica e mentale e da un 13,6% che aspira a maggiori opportunità di carriera. Da non sottovalutare anche la flessibilità dell’orario di lavoro (motivo di cambiamento per il 13,1% del campione) e penultimo, ma non meno significativo, la possibilità di mettere a frutto le proprie passioni personali (12,4%). Sorprende, invece, che la vicinanza al luogo di lavoro si attesti in ultima posizione, con solo il 6,5% delle risposte. A contribuire a questo scarso risultato, con molta probabilità, è l’utilizzo sempre più crescente dello strumento dello smart working, intensificato durante il periodo pandemico, ma non abbandonato anche in seguito.
Secondo, infatti, l’ultima Indagine sul Lavoro di Confindustria con focus sul lavoro agile, svolta su un campione di 3.178 imprese a livello nazionale, nel I trimestre 2022 ad aver usufruito di questa modalità lavorativa è stato il 37,6% delle aziende. E nella sola provincia di Varese la percentuale si alza di quasi un punto, arrivando al 38,3% (dato riferito ad un campione di 128 intervistati). Questa la situazione fotografata quasi un anno fa. Per quanto riguarda, invece, le previsioni di utilizzo dello smart working nel periodo post-pandemia, l’indagine stima che a livello nazionale la diffusione rimarrà doppia rispetto al pre-pandemia (20,3%). Nel Varesotto la stessa percentuale sale al 27,9%. Tra i motivi ritenuti più accattivanti dalle imprese per svolgere attività “agili”, il primo gradino del podio se lo aggiudica la conciliazione dei tempi di vita privata e lavoro (risposta fornita dal 55% del campione), secondo posto alla responsabilizzazione e all’orientamento al risultato (15,1%), terzo alla fidelizzazione e attrattività aziendale (11,4%). Appena un gradino sotto il podio si piazza il miglioramento delle performance dei dipendenti (9%).