A tu per tu con Corrado Augias
Insignito del Premio Chiara alla Carriera, il giornalista, scrittore, conduttore e autore televisivo, drammaturgo ed ex politico romano, racconta in modo disincantato un tempo, l’odierno, cos&i
Insignito del Premio Chiara alla Carriera, il giornalista, scrittore, conduttore e autore televisivo, drammaturgo ed ex politico romano, racconta in modo disincantato un tempo, l’odierno, così lontano e differente da quello descritto dallo stimato scrittore luinese nei suoi libri. Tra disorientamento, perdita dei valori e della fede
‘‘Quella di oggi non è più la provincia raccontata da Piero Chiara. È cambiato tutto, è in atto una vera e propria rivoluzione nel costume, la bonomia nei rapporti umani che contraddistingueva gli italiani se ne è andata per sempre”. Corrado Augias, 87 anni magnificamente portati, con Chiara dialoga a distanza da anni, è un suo appassionato lettore, anche se non lo ha mai conosciuto personalmente, e allo scrittore di Luino lo accomuna la grande curiosità intellettuale, che lo ha portato nel tempo a spaziare dalla saggistica al romanzo giallo, dalla drammaturgia fino alla realizzazione e conduzione di fortunati programmi televisivi. Augias ha ricevuto dagli Amici di Piero Chiara al Teatro Sociale di Luino l’ambito Premio Chiara alla Carriera, conferito lo scorso anno a Mario Botta, un riconoscimento più che meritato per una persona di grande spessore umano e culturale, che attualmente presenta la trasmissione “La gioia della musica” su Rai 3, una serie di incontri con la classica spiegata attraverso interviste e commenti musicali a cura dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino. Al telefono dalla sua casa di Roma, Corrado Augias si dice lusingato per l’assegnazione del premio, ma anche preoccupato per la decadenza umana e culturale dei nostri tempi.
Quali sono, secondo lei, le cause del profondo cambiamento del costume e dell’aumento della violenza, anche domestica, a cui assistiamo oggi?
Il profondo mutamento a cui stiamo assistendo è dovuto soprattutto a due fattori. Il primo riguarda l’economia, diventata totalmente capitalistica con tutto quello di negativo che la bramosia di guadagno porta con sé. Per ottenere sempre più denaro e spenderlo per cose perlopiù superflue, la gente inganna e uccide, indiscriminatamente. I soldi sono diventati l’unico riferimento e per molti un’ossessione. Poi anche la criminalità organizzata è cambiata, da noi sono arrivate le bande dall’est Europa, molto più sanguinarie delle nostre. Per paradosso, la malavita del nord Italia è diventata feroce, mentre quella legata alle mafie, un tempo sanguinaria, si è trasformata in colletti bianchi, infiltrati nel sistema del potere economico. Ma è sempre l’America a detenere il record negativo della criminalità: nella sola città di New York accade un numero di omicidi annui pari a quello dell’Italia intera.
Quindi la provincia raccontata da Chiara, ma anche da Mario Soldati, è definitivamente scomparsa?
Mi viene in mente il film “Guardie e ladri”, con Totò e Peppino o anche “I soliti ignoti” di Monicelli, una blanda presa in giro della malavita del tempo che però aveva un fondo di verità: si rubava per mangiare e i delinquenti erano perlopiù poveracci, non c’era ferocia nelle loro azioni. Piero Chiara descriveva una provincia con vizi a volte quasi ingenui e c’era bonarietà nel comportamento di molti suoi personaggi. Lo stesso appariva nei reportage di Mario Soldati dedicati alla ricerca dei cibi genuini o nei capitoli del “Viaggio in Italia” di Guido Piovene.
L’uomo di oggi è spaventato e disorientato, non ha più certezze né ideali: a cosa si deve rivolgere per trovare una strada?
È sparita anche la fede, in netto declino, così come la religiosità, con seminari e chiese vuote. Un tempo avevamo una fitta rete di parrocchie, nel 1991 erano più di 26mila, con 37mila parroci diocesani. I partiti non ci sono più e consiglio di leggere ciò che Umberto Galimberti scrive nel suo “Credere”, cioè che la tecnologia esasperata e la sete di denaro stanno distruggendo la nostra società. Gli strumenti tecnologici sempre più sofisticati sono magici da un lato, perché ci consentono di lavorare meglio, ma pericolosissimi soprattutto se lasciati nelle mani degli adolescenti perché creano dipendenza.
Non c’è speranza dunque?
L’unica speranza sta nella conoscenza. Se tu genitore, insegnante o capo scout risvegli nei giovani la scoperta del bello e la curiosità per la natura, l’arte e la musica, li conduci a una salvezza dello spirito. Purtroppo, e lo posso testimoniare in prima persona, ciò avviene in pochissimi casi.
Questa indifferenza da parte delle giovani generazioni, a cosa è dovuta secondo lei?
Vedo in giro una grande apatia generale, molte persone smarrite. Lo smarrimento ormai è una caratteristica collettiva. In realtà siamo nel turbine di una sconvolgente rivoluzione, quella tecnologica, non paragonabile ad alcun mutamento nelle epoche passate. La tecnologia provoca un forsennato aumento della velocità in ogni nostra azione e una perdita del senso della storia. Come puoi interessare un ragazzino al Canzoniere di Petrarca se con il cellulare o il computer accede facilmente alla realtà virtuale isolandosi completamente dal mondo che lo circonda?
Si diceva che la pandemia ci avrebbe cambiato in meglio, in realtà anche l’educazione civica sembra riposta in soffitta.
È ingenuo aspettarsi che si esca cambiati dall’esperienza del Covid. Si esce cambiati da una guerra e lo posso dire perché ci sono passato. Non c’era da mangiare, mentre nei due mesi di chiusura, un tempo ridicolo, i supermercati erano comunque aperti e tutti potevano mangiare e bere, vedere la tv, leggere o scrivere, telefonare agli amici. Una prova così breve non cambia nessuno.
Lei ha scritto che i libri ci rendono migliori e più allegri, ma in Italia si continua a leggere pochissimo e sono più gli scrittori dei lettori.
Si legge poco perché la lettura richiede lentezza, approfondimento, in una parola: tempo. Un libro va assaporato e assimilato e oggi la velocità ha ucciso ogni forma di curiosità intellettuale. La lettura è una attività in declino, la nostra prosa si è impoverita in maniera preoccupante, ormai il riferimento per la scrittura sono piattaforme come Tik Tok, WhatsApp e Twitter, la sintassi è ridotta all’osso. Questo è un cambiamento antropologico davvero preoccupante, che avviene con grande rapidità.
Cosa sta leggendo Corrado Augias?
Per passatempo leggo l’ultimo romanzo di Andrea Vitali, “Sono mancato all’effetto dei miei cari”, la storia del proprietario di un negozio di ferramenta e del suo rapporto con i figli. Vitali è rimasto forse l’ultimo a raccontare la provincia come facevano Chiara e Soldati, la sua è una lettura distensiva e refrigerante. Per il mio approfondimento culturale, invece, sto ultimando “Una rivoluzione passiva”, dello storico Adriano Prosperi, già docente alla Normale di Pisa, che indaga sulle chiese cristiane al tempo della Riforma protestante e del Concilio di Trento.
Lei sta conducendo un programma divulgativo sulla musica classica: cosa ascolta di solito?
Spero che questo programma interessi anche ai giovani e li spinga a conoscere i capolavori di Beethoven, Rossini o Mozart. Sono abituato ad ascoltare un po’ di tutto, il bello in musica può arrivare da una canzone, un brano jazz o da una fuga di Bach.