Varese terra di ceramica
Da Saronno a Laveno Mombello passando dalla Valganna e arrivando fino a Cunardo: la storia antica delle creazioni varesine, tra collezioni tramandate da generazioni e oggetti che raccontano come il t
Da Saronno a Laveno Mombello passando dalla Valganna e arrivando fino a Cunardo: la storia antica delle creazioni varesine, tra collezioni tramandate da generazioni e oggetti che raccontano come il territorio abbia interpretato “la prima tra le arti”. In mostra, dal Nord al Sud della provincia, i lavori di grandi nomi del ‘700 e non solo, tra cui i Robustelli, altri maestri del mestiere e, un nome su tutti, Lucio Fontana
Il fascino della ceramica, antico quanto il mondo (basti pensare alle ceramiche greche o romane, ma anche alle porcellane delicatissime di Cina e Giappone), si allarga ad ogni territorio con le più preziose testimonianze in ogni parte del pianeta. Piatti ornamentali e da tavola, vasi per profumi o fiori, contenitori per la toilette delle signore da tenere sul comò, recipienti per i farmaci, portaombrelli, servizi da tè e caffè. E grandi o piccole sculture firmate dai nomi migliori. Non c’è museo antico o moderno che non esponga oggetti in ceramica che hanno fatto la storia e ancora fanno battere il cuore a chi ritrova in esposizione i pezzi familiari della domestica quotidianità. Le ceramiche di Albissola, dove anche il grande Picasso si divertiva a lavorare, le ceramiche di Faenza, raccolte in uno dei più bei musei del genere in Italia, quelle umbre della De Ruta, le fiorate di Caltagirone, ci raccontano tutte la stessa magia: impasti che prendono forma dalle mani dell’artista per essere poi messi a cuocere nel forno ad alte temperature e, una volta cotti, decorati seguendo i gusti personali o di una scuola.
Nel nostro territorio ci sono musei molto importanti che meritano la visita, perché ricchi di pezzi di valore, testimonianza di una storia, dal Sud al Nord della provincia, molto antica e di alta qualità. Partiamo da Sud e dal Museo Gianetti di Saronno, inaugurato nel 1994, ricco di pezzi pregiati. È collocato in un edificio un tempo di proprietà delle sorelle Biffi, Virginia e Carla, le cognate di Giuseppe Gianetti che aveva sposato la loro sorella, Nina. Imprenditore, cultore di arte e collezionista, acquistò in giro per l’Italia preziosi pezzi, tra cui mobili, quadri e sculture, che si possono ancora oggi ammirare nelle sale della villa nel percorso su più piani che ne svela ogni meraviglia. Dal ‘33 iniziò a collezionare porcellane. Dopo la morte dei coniugi, le sorelle ereditarono le collezioni. E fu loro premura donarle alla Fondazione voluta dalla famiglia. La storia del Museo prende vita proprio da qui. Dalle due donazioni: della Casa Biffi e della collezione di porcellane del ‘700 e contemporanee. Oggi Casa Gianetti è sede espositiva, ma anche luogo di lavoro, di ricerca e incontro. Per seguire appositi corsi di ceramica oppure occuparsi della storia di un museo importante e ricco di pezzi raffinatissimi che fa capo alla Fondazione.
Fin dall’ingresso l’interno della Villa, una dimora del 1940, si svela ai visitatori nell’intatta bellezza di casa d’epoca. Sono rimasti i bei mobili, le poltroncine in paglia di Vienna, i preziosi tappeti, i raffinati e solidi parquet, i marmi, gli arredi, gli specchi, il lampadario di Murano e le scalinate con le ringhiere disegnate dalla padrona di casa. Ci sono persino gli infissi, le rubinetterie e gli interruttori per la luce di allora. E dietro le vetrine sono esposti nelle sale rari esemplari di vasi, piatti e oggetti vari decorati. Il primo nucleo di 200 pezzi comprende preziose ceramiche tedesche di Meissen, dal ‘700 all’800. Il secondo accoglie invece porcellane italiane (Ginori e Capodimonte) ma anche europee, con 65 opere provenienti da Austria, Svizzera, Francia e Inghilterra. Bellissimi i servizi viennesi, ma anche i divertenti e coloratissimi servizi da caffè o alcune realizzazioni animalier dai ricercati decori. Di raffinata fattura sono poi le 33 ceramiche cinesi e giapponesi realizzate dalla compagnia delle Indie per l’Occidente. Infine, una quarta sezione comprende maioliche italiane ed europee del XVIII secolo. Con un nucleo principale di ben 230 porcellane italiane.
Alle opere di Gianetti si sono poi aggiunte, a 20 anni dall’apertura del Museo, 24 importanti pezzi provenienti dalla collezione di Aldo Marcenaro, professore dell’ospedale San Martino di Genova e collezionista di opere del ‘700. Trattandosi per lo più di porcellane di Meissen, si integrano perfettamente con la collezione di Gianetti. Tra i pezzi più pregiati servizi per tè e caffè, una grande ciotola e un vassoio ottagonale, un piatto con decoro Kakiemon (uno stile giapponese molto imitato in Occidente). E maioliche raffinate come un bacile da barba e una veilleuse (lampada da notte). Nella collezione di arte contemporanea sono opere di Robustelli, Dusi e Spector e altri noti artisti italiani, accanto ad alcuni provenienti dal Cameroun, paese con cui il COE (Centro Orientamento Educativo) della Fondazione museale collabora.
Scivolando a Nord della provincia, la Ceramica di Laveno, poi Sci, ha scritto una grande storia e i suoi protagonisti sono presenti con le loro ineguagliabili opere, conservate nelle sale dell’antico Palazzo Perabò, sede del MIDeC, fondato nel 1971. Vanta 500 pezzi esposti e 3.500 visitatori l’anno. Siamo in quel di Cerro, con vista sul Lago Maggiore e le Isole Borromee. Si rincorrono qui i nomi dei più grandi maestri e direttori della ceramica, come Guido Andlovitz, Antonia Campi, Ambrogio Pozzi e Giorgio Spertini. Lavorò qui anche Albino Reggiori, che guidò il Museo per anni e fu, a sua volta, ceramista di ottima mano. Quest’anno il Museo, per i 100 anni dalla fusione della Laveno con Sci, ha portato in mostra 100 stupende opere di Gio Ponti, realizzate per la manifattura di Doccia (a cura di Anty Pansera e Giacinta Cavagna di Gualdana, con allestimento di Ivo Tomasi).
Se poi risaliamo da Cerro, in direzione della Valganna, si possono avvicinare le ceramiche di Ghirla, custodite nell’antico Museo della Badia di Ganna, dove sono in mostra, accanto a piatti, zuppiere, alzate e vasi di vario uso in maiolica, anche paramenti religiosi preziosi, dipinti e opere di artisti locali di ottima mano, come lo scultore Enrico Butti e il pittore Gariboldi. La maiolica di Ghirla, uscita da botteghe locali attive tra ‘700 e ‘800 e poi ancora nel ‘900, fino al secondo dopoguerra, era ed è ancora famosa per il suo azzurro cobalto, per i decori giocati tra bianco e blu, per la bellezza di certi “ricami” di pieni e di vuoti ottenuti nella lavorazione del pezzo crudo. Rara e preziosa, la ceramica di Ghirla è ancora molto ricercata dai collezionisti che guardano con attenzione a questo angolo di mondo della verde Valganna. Dove nell’XI secolo venne martirizzato il Santo Gemolo. Non è difficile che qualche prezioso pezzo di Ghirla faccia a volte la sua comparsa nei negozi o nei mercatini d’antiquariato.
Non lontana da Ghirla è Cunardo, altra e molto suggestiva patria della ceramica. Qui si lavora ancora tra il verde e l’ombra delle fornaci e la storia delle ceramiche Ibis continua, a sua volta, un’antichissima tradizione, si dice nata ai tempi di Tiberio, portata avanti per anni dagli artisti Robustelli, maestri del mestiere. I due fratelli hanno speso la loro vita attorno all’antichissima e amata fornace. Addirittura ricomprata dai loro avi, costretti a venderla in tempi sfavorevoli. Ma, ora che il fratello Gianni se ne è andato da tempo, Giorgio è in attesa che si profilino artisti vogliosi di continuare. Caratteristico anche qui il color blu Cunardo e la simbologia dell’uccello sacro Ibis, scelta come marchio di fabbrica. Sulle pareti dei rustici, attorno alla fornace, sono ben in vista le opere uscite dalle mani dei Robustelli e di altri artisti noti, uno per tutti Lucio Fontana. Opere, spesso vere e proprie sculture, che richiamano un elevato modo di far ceramica, dove il discorso artistico può ispirarsi per esempio a motivi afro, cari alla pittura di Modigliani. O a Picasso, che notoriamente amava moltissimo plasmare la terra e poi decorare piatti, ciotole, maschere e tanto altro, con il suo robusto segno. E che la considerava la prima, la più antica, tra le arti.