Varese promossa a metà nella qualità della vita delle donne
Livelli occupazionali buoni (ma ancora troppo basi nelle fasce più giovani). Opportunità di affermazione nello sport elevate. Speranza di vita tra le più alte in Italia. Buon pos
Livelli occupazionali buoni (ma ancora troppo basi nelle fasce più giovani). Opportunità di affermazione nello sport elevate. Speranza di vita tra le più alte in Italia. Buon posizionamento nel numero di giornate retribuite. Questi i parametri che, secondo Il Sole 24 Ore, fanno del Varesotto uno dei territori dove le femmine vivono meglio: sesta posizione in Italia. La parità di genere, però, è ancora lontana su diversi aspetti. Soprattutto quello delle buste paga, su cui pesa un gap ancora troppo marcato con gli uomini. Come dimostrano i risultati del Social Progress Index e le tabelle dell’ultimo Rendiconto sociale provinciale dell’Inps
La qualità della vita delle donne a Varese è tra le più alte in Italia. In poche altre province le condizioni sono migliori. Per la precisione: Firenze, Arezzo, Perugia, Trieste, Siena. E poi, appunto, arriva il Varesotto in sesta posizione, primo in Lombardia. A seguire, giusto per completare a onor di cronaca, la top ten, ci sono Udine, Lecco, Modena e Bologna. È ciò che emerge da una recente classifica stilata da Il Sole 24 Ore. Parametri, indici e sotto-graduatorie che in generale premiano Varese e la sua capacità di essere un territorio in grado di garantire parità di genere. Tra le voci in cui Varese fa meglio di molte altre aree del Paese c’è innanzitutto la speranza di vita alla nascita delle femmine che è pari mediamente a 86,1 anni. Valore che vale l’ottavo posto nella graduatoria nazionale. Bene anche il tasso di occupazione generale delle donne, che nella fascia tra i 20 e i 64 anni, è pari al 67,6%, 19esimo posto. Così come le giornate retribuite, dove Varese arriva 12esima grazie a un calcolo sulla percentuale (79,7%) di giorni a tempo pieno su un totale teorico di 312. La provincia all’ombra delle Prealpi, però, eccelle soprattutto su un fattore, confermando la vocazione generale del territorio: è quella per lo sport, in questo caso femminile, in cui per dati su squadre, atlete e risultati, Varese arriva settima. Sono positivi anche i riscontri in termini di gap occupazionale di genere con una differenza del 15,1% tra quella maschile e quella femminile che vale il 25esimo piazzamento. Ed in termini di amministratori comunali donne che sono il 37,7%, quota che si piazza al 19esimo posto.
Fin qui le buone notizie, poi ci sono gli indicatori che sottolineano come ci sia comunque del lavoro da fare e come la parità di genere sia ancora un cantiere aperto. Anche a Varese. Margini di miglioramento si riscontrano, per esempio, alla voce del tasso di occupazione giovanile. Tra le ragazze comprese tra i 15 e i 29 anni il dato è pari al 34,8%, percentuale che fa scendere il Varesotto al 31esimo posto. Ben oltre la metà classifica, ma comunque in una fascia che merita un primo livello di attenzione. Ancora più indietro è il piazzamento nel numero di laureate ogni mille abitanti: 21,6 e 49esimo posto. Da invertire assolutamente la rotta anche sul fronte delle violenze sessuali: con 10,1 denunce ogni 1.000 abitanti Varese è 57esima. Su questo, ci permettano i nostri lettori, citiamo noi stessi. Un anno fa, nell’ambito di un’inchiesta svolta da Varesefocus sul tema dell’inclusione, scrivevamo, commentando la stessa classifica, che “basterebbe anche solo una denuncia per deprecare la situazione”. Commento che valeva allora come oggi, soprattutto a fronte di un peggioramento, visto che il dato un anno fa era inferiore con 9,45 denunce ogni 100mila abitanti.
La voce dove però Varese colleziona la performance peggiore è quella delle imprese femminili: 86esimo posto, a causa di una percentuale di aziende guidate da donne che si ferma al 20,7% del totale. A conferma di quanto, come sostiene da tempo Confindustria Varese, il territorio, per riposizionare la propria competitività debba investire su una priorità: il rilancio del fermento imprenditoriale. Anche a favore di una maggiore inclusione delle aspiranti imprenditrici. Ad aiutare a inquadrare il livello di parità di genere a cui è arrivata la provincia non è, però, solo la classifica de Il Sole 24 Ore. Un dato interessante, che mette in questo caso in evidenza un punto debole del sistema economico varesino, è quello che emerge dal Social Progress Index Varese sviluppato dall’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness dell’Università LIUC per conto di Confindustria Varese anche per analizzare le capacità del territorio di offrire ai propri cittadini occasioni per affermare se stessi in ambito personale, professionale e formativo. Tra i vari indici c’è anche quello del gender pay gap, ossia della differenza dell’ammontare delle buste paga tra uomini e donne. Brutte notizie: Varese è solo 77esima. (Per Il Sole 24 Ore scivoliamo addirittura 85esimi). Quale che sia l’indice una cosa è certa: le differenze sono ancora elevate. Più che in altri territori. Ma quanto?
A rispondere dati alla mano alla domanda sono alcune tabelle contenute nel Rendiconto Sociale provinciale 2023 dell’Inps di Varese. “Nella nostra provincia – spiega Alessia Accardo, Vicepresidente del Comitato Provincia Inps e Responsabile dell’Area Previdenza e Welfare di Confindustria Varese – ci sono ampi spazi di miglioramento per ridurre il divario retributivo di genere, divario che poi si ripercuote in maniera pesante sul sistema pensionistico”. Secondo Accardo un dato significativo è che “in provincia nel 2023 sono state corrisposte alle donne pensioni mediamente di importo inferiore del 36% rispetto a quelle corrisposte agli uomini, segno anche di carriere lavorative non lineari e frammentate. Un dato, peraltro, in linea con il resto della Lombardia”. Le differenze si vedono nelle buste paga, sia in quelle del settore privato, sia pubblico. Mediamente la retribuzione settimanale di un lavoratore dipendente nel Varesotto ammonta a 614,1 euro. Una media, appunto, frutto della differenza tra i 699,1 euro dei maschi e i 507,5 euro delle femmine, stando ai dati Inps sui lavoratori comunitari. Con un delta dunque di 191,6 euro, che è più basso dei 204,83 euro registrati in Lombardia, ma più alto dei 142 euro a livello nazionale. Nel settore privato la differenza, sempre a livello di retribuzioni settimanali, è di 222,5 euro (483,4 per le donne, 705,9 per i maschi). Mentre nel pubblico è di 197 euro (637,4 euro per le donne, 834,4 per gli uomini).
Alessia Accardo: “Nella nostra provincia ci sono ampi spazi di miglioramento per ridurre il divario retributivo di genere, divario che poi si ripercuote in maniera pesante sul sistema pensionistico”
Dalle tabelle Inps emergono le differenze retributive tra femmine e maschi anche a livello di singoli settori economici privati. Il comparto dove la retribuzione media giornaliera di una donna varesina è più alto è quello delle attività finanziarie e assicurative: 122 euro. Ma qui gli uomini guadagnano 180,8 euro con una differenza superiore ai 58 euro, dunque. Segue, tra i principali settori, quello delle attività manifatturiere, dove le donne guadagnano giornalmente 96,4 euro, contro i 126,8 euro dei maschi. Differenza: 30,4 euro. Nel trasporto e magazzinaggio, dove i redditi delle donne sono sui livelli dell’industria (93,9 euro giornalieri), il delta con gli uomini, invece, si assottiglia a 21,1 euro. Continuando con le attività più diffuse, nel commercio la differenza è di 25,2 euro (usando come parametro sempre il reddito medio giornaliero), nelle attività immobiliari di 21,6 euro, nelle agenzie di viaggio e servizi alle imprese 19,5 euro, nelle attività artistiche, sportive e dell’intrattenimento di 27,7 euro.Nel pubblico la differenza maggiore la si registra nelle Università dove i maschi guadagnano giornalmente 85 euro in più delle donne. Segue il servizio sanitario con un delta di 36,3 euro, le forze armate, i corpi di polizia e i vigili del fuoco con 18,6 euro. Praticamente appaiati, invece, i redditi del corpo docente delle scuole dove i maschi guadagnano 2,1 euro in più delle donne. In mezzo la magistratura e le amministrazioni locali dove i maschi guadagnano 14 euro in più delle donne.
Per Alessia Accardo i numeri raccontano come esista ancora “una difficoltà delle donne di conciliare le responsabilità familiari con quelle lavorative al punto di compiere spesso un passo indietro davanti alla possibilità di avanzi di carriera o incarichi di prestigio”. È in questo spazio che bisogna intervenire sottolinea ancora Accardo: “Per raggiungere la parità di genere occorre innanzitutto che siano adottate misure di welfare e conciliazione che sostengano la famiglia in ottica di genitorialità non esclusivamente femminile”. Un fattore dirimente su cui “le imprese del territorio stanno acquisendo sempre maggiore sensibilità e consapevolezza”.
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