Un lavoro per rinascere
Gli incentivi per le imprese ci sono. Così come i vantaggi per tutta la società: tra i detenuti che riescono ad accedere ad un’opportunità di impiego in carcere o in stato
Gli incentivi per le imprese ci sono. Così come i vantaggi per tutta la società: tra i detenuti che riescono ad accedere ad un’opportunità di impiego in carcere o in stato di semilibertà la percentuale di recidiva crolla al 2% dei casi, contro una media del 70% dei compagni che rimangono in cella disoccupati. Purtroppo, però, il fenomeno è ancora troppo poco diffuso. Storie positive come quelle di Eolo o di Lasi sono delle eccezioni, ma che possono ispirare altre realtà del territorio
Ha commesso un errore e per lui si sono aperte le porte del carcere di Bollate. Qui ad un certo punto, però, ha imparato a lavorare come operatore call center di assistenza ai clienti grazie ad un’azienda del territorio varesino e ora, che ha finito di scontare la sua pena ed è stato assunto dalla stessa impresa, torna nella casa circondariale per trasferire le conoscenze acquisite ai suoi ex compagni che iniziano a lavorare per la stessa realtà aziendale. Si chiama Gianni e questa è la sua storia di rinascita, o forse, sarebbe meglio dire, di speranza. Quella di molti dietro alle sbarre. Perché, per un detenuto, lavorare non è impossibile, ma non è nemmeno una cosa scontata. A confermarlo sono i numeri. I detenuti che lavoravano all’interno e all’esterno degli Istituti Penitenziari lombardi, nel 2019 erano solo il 20%. Nel 2020, sono diventati il 30%; nel 2021, il 31%. Nel 2022, invece, la percentuale è balzata al 37%, ma su 8.147 persone recluse, 2.347 sono state ammesse alle attività lavorative interne al carcere, mentre solo circa 400 hanno avuto la possibilità di lavorare in una realtà imprenditoriale o produttiva esterna.
Numeri in crescita, ma pur sempre bassi. Eppure, i vantaggi ci sono. A partire da quelli fiscali. Basti pensare alla Legge Smuraglia che prevede dei benefici in termini di sgravi contributivi per le imprese che assumono dei detenuti ammessi al lavoro all’interno o all’esterno dell’istituto. Più concretamente, si tratta di 520 euro mensili di incentivi, erogati come crediti d’imposta e la riduzione del 95% di aliquota contributiva. Assumere un detenuto, dunque, sembra essere un’opportunità. E lo dicono gli stessi imprenditori: “In Italia ci sono circa 54mila carcerati. Abbiamo un patrimonio da poter valorizzare – tiene a sottolineare Luca Spada, Ceo di Eolo Spa, azienda con sede a Busto Arsizio, attiva nel settore delle telecomunicazioni –. Inoltre, la persona detenuta a cui viene affidata una mansione tende ad essere completamente focalizzata sulla sua attività, motivata dal fatto di poter rompere la propria routine con un vero e proprio lavoro”. Quelle di Luca Spada sono parole frutto di un’esperienza concreta che ha preso il via già tre anni fa. Infatti, ad aver dato quella luce di speranza a Gianni attraverso l’assegnazione di una mansione professionale, fin dal periodo di detenzione, è stata proprio Eolo.
Luca Spada (Eolo): “I clienti assistiti dai dipendenti detenuti dichiarano un grado di soddisfazione del 97%”
A spingere Spada in questa sfida è bastata una visita nella casa circondariale di Bollate: “Dai racconti dei detenuti ho appreso che, dopo una pena molto lunga, non c’era un programma vero e proprio di reintroduzione al mondo lavorativo – continua il Ceo di Eolo –. Considerando che l’attività della nostra azienda si sposa bene con un lavoro a distanza, abbiamo deciso di far lavorare, da una struttura attigua al carcere, 6 persone. L’esito è stato sorprendente. I clienti assistiti dai dipendenti detenuti dichiarano un altissimo grado di soddisfazione: 97%. E così, con convinzione, siamo andati avanti in questa iniziativa. Oggi abbiamo 30 persone che lavorano per noi dal carcere di Bollate”. Questo è l’esempio di Eolo, ma non è l’unica impresa sul territorio varesino ad avere teso il braccio oltre le sbarre e volto lo sguardo al di là dei pregiudizi.
Lo ha fatto anche la Lavorazione Sistemi Lasi Spa, azienda di Gallarate specializzata nella produzione di sistemi elettronici e servizi integrati (Ems), assumendo alcuni detenuti della Casa Circondariale di Busto Arsizio. Nel loro caso, tutto è iniziato nel 2018 grazie alla collaborazione con Randstad Italia Spa, player a livello mondiale nei servizi risorse umane: “L’idea è stata di Valeria Monateri, Sales Development Manager dell’agenzia per il lavoro a cui ci appoggiamo – precisano dall’impresa gallaratese –. Volevamo fare qualcosa di socialmente utile per la popolazione carceraria e abbiamo scoperto un mondo fatto anche di tanta umanità”. Praticamente, da una cella, attrezzata con gli strumenti e i materiali necessari, l’azienda ha dato lavoro a 4 persone, con un contratto a tutti gli effetti: 6 ore al giorno, dal lunedì al venerdì, per svolgere attività di saldatura, collaudo e assemblaggio. “È stata un’esperienza bellissima che purtroppo si è interrotta con il sorgere della pandemia da Covid-19, ma siamo disponibili a ripartire. Sia riprendendo a far lavorare i detenuti dal carcere, sia facendoli venire in azienda – continuano a raccontare da Lasi –. Un’alternativa, quest’ultima, che sarebbe ancora più efficace perché li avremmo qui tra le nostre mura, più vicino per trasferirgli maggiormente tutte le competenze necessarie. Diventerebbero a tutti gli effetti parte integrante dell’impresa insieme agli altri dipendenti. E una volta scontata la pena, perché no, quel posto di lavoro potrebbe essere ancora loro”. Testimonianze, queste, che sono l’esempio di un interesse concreto da parte delle realtà imprenditoriali varesine sul fronte del reinserimento sociale delle persone detenute.
Il Prefetto di Varese, Salvatore Pasquariello, ha aperto un tavolo di confronto per stimolare sul tema un maggior coinvolgimento delle imprese. Ne fanno parte tutte le parti sociali del territorio
A livello regionale il bilancio è positivo ma come tiene a precisare il Direttore della Casa Circondariale di Varese, Carla Santandrea, “occorre una spinta ulteriore per rafforzare un percorso già intrapreso e per consolidare collaborazioni attive da tempo”. Non è una questione di premio alla buona condotta dei detenuti e nemmeno un modo per far fronte alla difficoltà delle imprese di trovare manodopera. Bensì, una lotta alla recidiva. Secondo le statistiche del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, infatti, quando manca l’opportunità lavorativa il rischio che la persona torni a delinquere si aggira intorno al 70%, per calare invece al 2% in caso di occasioni concrete di formazione e impiego. È su questo dato che si fonda il tavolo coordinato dalla Prefettura e costituito dai Direttori delle Case Circondariali di Varese e di Busto Arsizio, dai rispettivi Comandanti della Polizia Penitenziaria, dalla Camera di Commercio e da tutte le parti sociali del territorio, tra cui Confindustria Varese.
“Il calo del tasso della recidiva dal 70% al 2%, dovuto alla possibilità di lavorare, ci fa riflettere sul fatto che dobbiamo continuare a favorire la formazione e l’assunzione dei detenuti da parte delle realtà imprenditoriali. Anche perché è solo assumendo le persone fin dal loro periodo di detenzione che le aziende possono beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla Legge Smuraglia, sia durante il periodo carcerario, sia nei 18/24 mesi successivi alla scarcerazione”, specifica il Prefetto di Varese, Salvatore Pasquariello. L’obiettivo del lavoro sinergico tra le parti è quello di creare un più intenso collegamento tra “il dentro e il fuori” le sbarre. Perché, come sottolinea Maria Pitaniello, Direttore della Casa Circondariale di Busto Arsizio, “se da un lato, si tratta di persone che hanno violato la legge e, dunque, con una ragione per poter essere private della loro libertà, dall’altro, dobbiamo considerare che, prima o poi, torneranno sul territorio come donne e uomini liberi”.
Ecco che allora coniugare il mondo del lavoro e della formazione a quello carcerario diventa un passaggio fondamentale all’interno del trattamento di rieducazione. Non solo per promuovere la dignità della persona e un reinserimento nella società con un bagaglio di valori nuovo, ma anche per assicurare alla stessa comunità dei vantaggi a livello di tutela, socializzazione e integrazione. E perché no? Trasmettere ai detenuti le conoscenze necessarie per colmare, almeno in parte, quel gap tra domanda e offerta di lavoro che frena lo sviluppo di molte imprese varesine e non solo.