Un amore di casa
L’ultimo Bene acquisito dal Fai in provincia di Varese è Casa Macchi, una grande dimora nel cuore di Morazzone dove il tempo si è fermato. Tra pizzi, ricami, fotografie e vecchi a
L’ultimo Bene acquisito dal Fai in provincia di Varese è Casa Macchi, una grande dimora nel cuore di Morazzone dove il tempo si è fermato. Tra pizzi, ricami, fotografie e vecchi arredi, rivive l’esempio di una borghesia lombarda, benestante e virtuosa, modello di un’economia nascente, vissuta tra l’800 e il ’900
Un’antica dimora, rimasta ferma nel tempo, è l’ultimo Bene acquisito dal Fai – Fondo per l’Ambiente italiano in provincia di Varese. Si tratta di un’abitazione con più di 20 stanze, distribuita su due piani. È stata donata dalla discendente di una famiglia lombarda agiata, Maria Luisa Macchi, morta senza eredi. Nel 2015 la “signorina Macchi”, come tutti l’hanno sempre chiamata, ha lasciato al Fai anche una cospicua somma da utilizzare, secondo espresso desiderio, per una parziale ristrutturazione della casa in cui era cresciuta e aveva abitato per anni, perché diventasse un museo vivo. Unitamente al lascito è arrivato il sostegno decisivo di Comune, Regione e Provincia. “Casa Macchi – sottolinea Marco Magnifico, Presidente Fai – rappresenta un momento felice per il Fai, che si è basato su di un progetto esemplare, costruito in fattiva collaborazione e totale sinergia con gli enti pubblici coinvolti nel recupero della proprietà”.
Il progetto può ben contribuire alla rianimazione di un paese che, per non estinguersi, ha assoluto bisogno di nuove prospettive. Volontà di Maria Luisa era che la storia della sua famiglia potesse continuare a vivere, nel godimento di chi ha il piacere di visitare la casa penetrando nell’intimità delle numerose stanze, in un’atmosfera che sarebbe piaciuta a Gozzano. Si tratta di una grande e solida dimora, che ha attraversato diverse epoche e conosciuto il passaggio di più generazioni. Abitata anticamente dalla famiglia Viani di Pallanza, era stata poi acquistata da due famiglie, un’ala ciascuna. I Macchi avrebbero poi goduto entrambe le proprietà, dopo l’acquisto della seconda ala e l’accorpamento in un’unica dimora. La sorpresa, per chi la visita oggi, è scoprire che intento e merito del Fai è stato proprio quello di aprire la casa al pubblico, dopo i necessari lavori di messa in sicurezza e consolidamento, senza stravolgerne il vissuto che trasuda da ogni angolo. Costosi e imponenti lavori sono stati necessari per sistemare innanzitutto il tetto e poi i pericolanti soffitti in cannucciato. Alcuni pezzi erano crollati sui letti delle camere, seppellendo le trapunte di raso. Si sono dovuti poi risanare con vespai anche i pavimenti ammalorati dall’umidità, conservandone però le irregolarità di posa originarie. Sono stati poi catalogati e mantenuti tutti gli oggetti di arredo conservati di generazione in generazione, dai mobili alla biancheria, ai tendaggi e tessuti, alle suppellettili della cucina.
L’impressione dei visitatori è quindi di potersi muovere in un mondo rimasto intatto, perché conservato nel tempo da famiglie borghesi abituate a mantenere la memoria, orgogliose del loro mondo e dalle piccole storie di ciascun membro della famiglia. A illustrare e introdurre il visitatore, nella scuderia della casa è un ricco filmato immersivo, che rende anche l’idea di come la proprietà Macchi fosse stata ritrovata dopo la lunga chiusura, avvolta dalla polvere e dalle ragnatele. Dopo averci vissuto per anni, accompagnando le vite dei genitori e dell’affezionato zio, che l’aveva adottata, Maria Luisa aveva infatti deciso improvvisamente di chiudere la proprietà, per ritirarsi presso la Casa di cura La Quiete di Varese. Troppi ricordi vivevano in quell’antica casa, tanti affetti si erano dispersi per sempre.
L’impressione dei visitatori è di potersi muovere in un mondo rimasto intatto, perché conservato nel tempo da famiglie borghesi abituate a mantenere la memoria
Proprio il particolare di una casa, chiusasi ad un certo punto della propria storia, ha convinto Marco Magnifico a non cancellare i segni del tempo, ma a sottolinearne piuttosto il significato di storia e di vita vissuta. Così è possibile attraversare i due piani della casa, camminando sugli antichi pavimenti in coccio, dopo aver risalito la scala in granito, concedendosi l’opportunità di visitare salette, sale da pranzo e salotti, camere matrimoniali e singole. Dove spiccano gli abiti da ragazza di Maria Luisa o la biancheria del corredo di Adele Bottelli, la nonna materna, che si occupava di un’attività artigianale di ricamatrice, attestata da pizzi e lini che ancora si conservano negli armadi. E forse la culla imbottita di raso bianco al secondo piano è stata il primo letto dell’ultima proprietaria. La vita dei protagonisti è raccontata anche dai quadri a olio, con ritratti e paesaggi, da fotografie dei familiari, poggiate sui trumeau o appese alle pareti. Con papà Luigi pronto alla caccia, passione dei maschi di casa, accanto ai cani, anche loro immortalati in alcuni dipinti. Ci sono in vista ancora libri e vecchi giornali d’epoca, riviste e quotidiani come il Corriere. Tutto è stato catalogato dal Fai (si tratta di migliaia di pezzi) e risanato. Pur lasciando a volte le tracce del passato, laddove sembrava utile a dimostrare il trascorrere del tempo. Magnifico ha parlato di una Pompei del XX secolo, perché così lui l’ha scoperta, non senza emozione, tra polvere e ragnatele.
Interessante è anche l’evoluzione nel tempo delle cucine e dei bagni. Da vedersi il “prototipo” di sedile igienico, davvero datato, eppure conservato a memoria perpetua dalla famiglia. O la cucina economica alimentata a legna, utilizzata per cuocere le vivande, scaldare la casa e fornire acqua calda, sempre pronta. Sulla superfice in ghisa c’erano cerchi concentrici da spostare alla bisogna, aggiungendo o sottraendo giri per allargare o stringere la fiamma in uscita, a seconda della grandezza della pentola. Altre grandi stufe in maiolica erano utilizzate dai proprietari per riscaldare i salotti. Dal locale per la ghiacciaia al frigorifero, dalla vasca per lavare i panni a mano alla lavatrice. Di stanza in stanza scorre anche il senso di un’evoluzione che molto ha contato soprattutto per un mondo femminile gravato da incombenze quotidiane allora davvero pesanti: come il bucato e la cottura dei cibi, che richiedevano l’impiego continuo della legna e della stufa per riscaldare l’acqua. Acqua che arrivò a Morazzone solo negli anni ‘50 e fu allora una festa di paese. All’esterno si può percorrere un vasto giardino, con palmizio e canneto, il pozzo per l’acqua e la torretta, cara alla proprietaria, che svetta in alto. Dove un tempo nidificavano i rondoni.
Oggi, dopo il restauro, certo ritorneranno anche i rondoni. Si esce ripassando dallo stesso antico emporio da cui si entra, che è rimasto in vita ed era già frutto di una precedente, antica attività collegata fisicamente alla casa. E oggi è una bottega meravigliosamente restaurata, con legni di mobili di arredo già appartenuti ad altri empori e biglietteria del Fai. In un paese che si stava spopolando, Villa Macchi, ultimo bene del Fai, potrebbe essere, e già lo è, un’ottima attrattiva per il visitatore in cerca di emozioni. Che ne scoprirà anche la storia di paese glorioso, dove si era combattuto strenuamente contro gli austriaci. Come ricorda il monumento in cima al paese. Ma testimoniato anche per iscritto da chi c’era, come la scrittrice e patriota varesina Felicita Morandi, che si occupò personalmente, nel ’48, di curare i feriti di entrambi i campi avversi, senza distinzioni tra garibaldini e austriaci. Il sindaco, amico entusiasta di un’operazione che sta molto giovando al suo paese in termini di rigenerazione, porta il cognome illustre del pittore Pierfrancesco Mazzucchelli. Era uno dei più noti discepoli del cavalier d’Arpino e si faceva chiamare, con orgoglio, Morazzone. Dal nome, appunto, del paese nativo.
Piazza Sant’Ambrogio 2, Morazzone
Dal giovedì alla domenica, dalle 10.00 alle 18.00
faicasamacchi@fondoambiente.it – tel. 03321821610