Sulle onde del Verbano, da Museo a Museo

Visitare il Lago Maggiore è sempre fonte di felicità. E le scuse per percorrere le sue rive e le sue acque, tra le opposte sponde in territorio italiano ed elvetico, sono infinite. Tra

Visitare il Lago Maggiore è sempre fonte di felicità. E le scuse per percorrere le sue rive e le sue acque, tra le opposte sponde in territorio italiano ed elvetico, sono infinite. Tra queste, numerosi musei e palazzi. Piccole e grandi perle di curiosità e bellezza. A partire dalle Isole Borromee, che offrono incommensurabili tesori tutti da scoprire, per arrivare alle esposizioni più originali e impensabili

‘‘Paradiso terrestre, è il luogo del golfo più voluttuoso che io abbia visto, la natura ci affascina di mille seduzioni”. Così scriveva Flaubert prima di dare l’addio alla maggiore delle Isole Borromee: l’Isola Madre. Assieme all’Isola Bella, all’Isolino San Giovanni e ai castelli di Cannero, appartiene da quattro secoli ai Borromeo, l’aristocratica famiglia milanese, originaria di Padova, da cui uscirono illustri personaggi. Fu proprio l’Isola Madre il primo dei beni entrati in possesso dei Borromeo sul Lago Maggiore. Lancellotto Borromeo si adoperò ad acquistarla nel 1501, pagandola cento scudi e ottenendo formale autorizzazione dal re e dal rettore della Chiesa di San Vittore. Esisteva infatti sull’isola una chiesa dedicata al Santo, dove, si tramanda, sette secoli dopo predicò Carlo Borromeo.

Oggi l’isola è meta amata di un turismo internazionale che ha il privilegio di poterne visitare il grande, esotico parco e il palazzo, un edificio del XVI secolo aperto al pubblico nel 1978 da Bona Borromeo. Ospita nelle sue numerose sale, accanto a importanti arredi e quadri di famiglia che ricostruiscono diversi ambienti d’epoca, anche una collezione di bambole francesi e tedesche dell’800, e soprattutto, vanto del palazzo, la più curiosa tra le collezioni permanenti del Lago Maggiore, dedicata alle marionette del ‘700 e dell’800. Venivano utilizzate per le recite a palazzo, nel cosiddetto teatrino, i cui fondali erano di mano del Sanquirico, scenografo della Scala. Le marionette, abbigliate con raffinati costumi d’epoca e ispirate alla commedia dell’arte, alla mitologia classica o alla tradizione popolare, erano dotate di formidabili marchingegni per potersi trasformare in altri personaggi o oggetti. La visita all’isola si completa nell’incantevole bellezza del parco, tra specie arboree e animali esotici, profumi di fiori e poetici scorci sul lago. Anche l’Isola Bella, la più nota, si segnala per il sontuoso giardino a forma di vascello, per le sue fresche grotte “estive” ornate di conchiglie e gli splendidi saloni ricchi di collezioni d’arte e oggetti d’arredo. Che vantano ricordi legati alle visite di personaggi quali Stendhal, Goethe, Napoleone e Mussolini, presente quest’ultimo per la conferenza di Stresa del 1935 con i potenti del mondo.  

Appena sopra Stresa è il gradevolissimo Museo dell’ombrello e del parasole, in località Gignese, a detta degli esperti unico museo del suo genere. Fondato dall’agronomo Igino Ambrosini nel 1939, accolto in una curiosa sede a forma di tre ombrelli accostati, custodisce migliaia di pezzi tra bastoni, impugnature, parapioggia e parasole di raffinata fattura

Per restare nel Vergante, appena sopra Stresa è il gradevolissimo Museo dell’ombrello e del parasole, in località Gignese, a detta degli esperti unico museo del suo genere. Fondato dall’agronomo Igino Ambrosini nel 1939, accolto in una curiosa sede a forma di tre ombrelli accostati, custodisce migliaia di pezzi tra bastoni, impugnature, parapioggia e parasole di raffinata fattura. E ci racconta l’evoluzione delle mode che hanno influenzato dall’800 ad oggi lo stile di questi accessori. Tra i cimeli più importanti l’ombrello di Giuseppe Mazzini, che risale al tempo della repubblica romana. E ancora documenti, fotografie, attrezzi del mestiere. La zona vantava molti lusciatt, così si chiamavano gli ombrellai, che spesso andavano oltreconfine, in direzione della Francia, per lavorare o smerciare i loro prodotti. 

Ritornando al Golfo Borromeo, una meravigliosa tappa è da prevedere anche al Museo del Paesaggio, recentemente rimodernato nelle architetture e rivisitato nei suoi percorsi museali, che custodisce la gipsoteca dello scultore russo Troubetzkoj e le opere pittoriche e scultoree di artisti noti come Daniele Ranzoni, Arnaldo Ferraguti, Vittore Grubicy, Arturo Martini, Giulio Branca, Mario Tozzi e molti altri legati per nascita o frequentazione al Lago Maggiore. Collocato nel cuore antico della splendida Pallanza, un tempo capoluogo del territorio, è un vero gioiello museale (più volte ne abbiamo scritto), che merita una sosta attenta.

A proposito invece della dirimpettaia Stresa, località celebrata da Hemingway nel suo “Addio alle armi”, ospita il Museo di Antonio Rosmini, dedicato alla figura del grande sacerdote e filosofo, che dimorò per anni nella casa Bolongaro. La stessa in cui aveva trascorso parte della sua infanzia la piccola Margherita, futura regina d’Italia, moglie di Umberto I. Vi sono custoditi oggetti personali di Rosmini, come i suoi occhiali, i paramenti religiosi e l’abito cardinalizio ordinato in vista di una presunta nomina da parte di Pio IX e l’orologio che segna l’ora della sua morte. Accanto sono i tanti libri di sua proprietà, quelli da lui scritti e quelli a lui dedicati. E il calco del viso richiesto dal caro amico Alessandro Manzoni, che ne volle fissata nel gesso la maschera mortuaria. I due erano legati da grande amicizia e dal comune sentire di amor di patria e di altissima cultura, che li univa ad altre anime appassionate che in Piemonte avevano trovato rifugio. Il Manzoni, che aveva perso, ancora in giovane età la diletta sposa Enrichetta Blondel, viveva nella casa della vicina Lesa di proprietà della seconda moglie, Teresa Borri vedova Stampa. Dopo i moti milanesi del ‘48 si era ritirato nella bella dimora, che oggi custodisce, nella targa sulla facciata a lago e nelle sue stanze trasformate in museo, la memoria dello scrittore. Teresa raccontava che quando Alessandro si trovava là “aveva il miele in bocca”. Di quegli anni trascorsi restano disegni e ritratti di amici pittori di Manzoni, manoscritti, libri e altri cimeli che completano il percorso museale manzoniano di Lesa. 

Nel castello di Angera, all’interno della famosa Rocca, dove la storia e gli affreschi murari ci ricordano le lotte tra le antiche famiglie dei Torriani e dei Visconti, è ospitata una delle più belle raccolte museali: si tratta del Museo della bambola e dell’abbigliamento infantile

Sulla sponda “magra” del Verbano, quella lombarda, risuona ancora una volta il nome dei Borromeo. Nel castello di Angera, all’interno della famosa Rocca, dove la storia e gli affreschi murari ci ricordano le lotte tra le antiche famiglie dei Torriani e dei Visconti, è ospitata una delle più belle raccolte museali: si tratta del Museo della bambola e dell’abbigliamento infantile. Nato attorno alla collezione privata di Bona Borromeo, accoglie bambole e esemplari rarissimi di oggetti sul tema del gioco e dell’infanzia, provenienti da diversi paesi. Dai bambolotti del primo ‘800 in cera, cartapesta e legno a quelli con testa in porcellana bisquit, ai già moderni bebè caractère, alle bambole in celluloide. La raffinatezza delle fattezze dei visi e dei corpi, opere di importanti artigiani italiani francesi e tedeschi, s’accompagna a quella degli abiti, miniature di haute-couture, frutto di infinita pazienza.

Sempre la sponda lombarda ospita il bel museo di Maccagno, il Museo Parisi Valle, magnifica architettura costruita a cavallo del Giona, da Maurizio Sacripanti, dedicata dal suo fondatore, il pittore e scultore Vittorio Parisi all’arte contemporanea. Location di buone mostre, ospita varie collezioni, una di disegni di artisti di fama internazionale, donata dallo stesso Parisi, accanto a reperti archeologici ritrovati nel territorio e risalenti ai tempi in cui Maccagno era sede della zecca imperiale romana. 

Indimenticabile, per chi s’avvierà al museo di Cerro, appena fuori Laveno, la visita all’antico Palazzo Perabò e alla civica raccolta delle sue preziose ceramiche, opera di Antonia Campi di Andlovitz, di Biancini, Reggiori e di tanti designer e ceramisti che in Laveno hanno dipinto o lavorato, quando la ceramica lavenese era fonte di guadagni e di fama internazionale. Chi ama l’archeologia nelle sue più raffinate espressioni artistiche deve infine espatriare, verso Locarno, sede di un museo che custodisce vetri e vasi romani di rara bellezza. Senza dimenticare però che la miglior archeologia è di casa anche sul Ticino, a Sesto Calende, dove ci si può avvicinare allo splendore della Civiltà di Golasecca.

  

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