Quanto è internazionale l’Università italiana
Poco attrattive per studenti e professori di oltre confine. Insufficiente capacità di fare sistema. Calendari accademici poco rispondenti alle esigenze di un mercato ormai globale. Ecco perch&
Poco attrattive per studenti e professori di oltre confine. Insufficiente capacità di fare sistema. Calendari accademici poco rispondenti alle esigenze di un mercato ormai globale. Ecco perché i nostri atenei non fanno innamorare i migliori cervelli stranieri. A fare eccezione sono i numeri della LIUC – Università Cattaneo
Il dato è destinato ad aumentare. Nel 2009 gli studenti universitari nel mondo erano 99 milioni, nel 2030 saranno 414 milioni. Una crescita che pone una sfida alla realtà accademica dell’intero pianeta: quella di attrarre verso le proprie aule i migliori cervelli. La parola d’ordine, dunque, è anche per le Università: internazionalizzarsi, ossia dotarsi di quegli strumenti in grado di competere su un mercato senza più confini. Ma con quali risultati lo sta facendo il sistema universitario italiano? A scattare la fotografia di quanto siano oggi internazionali gli atenei italiani ci ha provato l’inaugurazione dell’anno accademico della LIUC – Università Cattaneo, affidando il compito alla prolusione di Fabio Rugge, Rettore dell’Università degli Studi di Pavia e delegato della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) all’internazionalizzazione. L’immagine che ne è uscita, però, non è stata delle più brillanti.
La fotografia non esaltante
Il primo dato deludente offerto da Rugge è stato quello dei ragazzi stranieri che studiano in Italia: “Nell’anno accademico 2016/2017 essi costituivano il 4,62% dei nostri iscritti. In valore assoluto: 78mila. Ossia un quarto degli studenti internazionali ospiti in Francia, un terzo di quelli ospiti in Germania”. È vero che nell’ultimo decennio la percentuale italiana di studenti stranieri ha conosciuto una crescita continua, “ma fievolissima”, secondo il giudizio del Rettore di Pavia.
Ed anche sul fronte della capacità di attrarre i migliori docenti di tutto il mondo non siamo messi molto bene. In Italia contiamo come provenienti dall’estero 99 docenti ordinari e 198 associati. Cifre che, anche se sommate, “equivalgono all’1% circa dei professori di ruolo in Italia. Una percentuale che ci pone alcuni punti indietro a Francia e Germania”, ha illustrato un sempre più deluso Rugge, che subito ha voluto rimarcare un altro deficit: “Né parlano in favore della nostra attrattività in senso
qualitativo i conti riferiti agli studiosi che hanno ottenuto i finanziamenti dello European Research Council, i più pregiati fondi di ricerca”. Tra i vincitori degli ultimi 10 anni “solo 32 non italiani hanno scelto il nostro Paese per svolgere i loro progetti scientifici”. Questo mentre 300 italiani vincitori di tali finanziamenti si sono trasferiti all’estero per compiere le loro ricerche.
Il Rettore della LIUC, Federico Visconti: “In un anno siamo cresciuti del 48% come capacità di far fare ai nostri studenti esperienze all’estero e del 60% in quella di attrarre verso di noi ragazzi da oltre confine”
L’analisi dei punti deboli
Insomma i dati ci dicono che tanto internazionalizzata l’Università italiana oggi non lo è. Ma per quali motivi? Il primo difetto a cui porre rimedio, secondo Rugge, è la rigidità degli oltre 200 corsi di studio esistenti in Italia: “L’effetto che questa compulsione tassonomica ha sulla possibilità di ammettere studenti stranieri, di riconoscere il loro percorso è fortemente negativo. E preoccupa ugualmente per la mobilità di studiosi di vaglia, il cui inquadramento nelle nostre griglie disciplinari spesso risulta problematico a realizzarsi e, prima ancora, a spiegarsi agli interessati”. Altrettanto incompatibile con l’apertura all’internazionalizzazione è il calendario italiano degli adempimenti accademici. Un esempio per tutti è quello dei test di ingresso ai corsi di laurea in medicina che con tanta fatica si stanno organizzando per fornire insegnamenti in lingua inglese, con uno sforzo che rischia di essere, però, nullo. È sempre Rugge a spiegare perché: “I test di ingresso a questi percorsi si svolgono da noi tre o quattro settimane prima dell’inizio dei corsi”. Una tempistica che già rende difficile alle famiglie e ai ragazzi italiani organizzarsi, figuriamoci per gli stranieri. Basta guardarsi intorno, a ciò che viene nel mondo, per capire l’assurdità di questo sistema. Tra le 25 migliori facoltà di medicina al mondo 14 sono negli Usa. E come ci si può iscrivere? “Superando – ha spiegato un Rugge amareggiato – un test chiamato Mcat sostenuto sì a ottobre, ma dell’anno prima l’inizio delle lezioni”. Tempi simili si registrano anche in Gran Bretagna, mentre in Scandinavia i risultati delle domande di iscrizione vengono comunicati già ad aprile. Morale: “Agli inizi di settembre, dunque, quando in Italia ci si gioca la partita dell’accesso a Medicina, gli studenti internazionali che scendono in campo sono ormai pochissimi e di solito non proprio i migliori”.
Ma è anche il sistema della promozione all’estero delle Università italiane a pagare uno scotto organizzativo rispetto alla concorrenza straniera che punta su agenzie uniche e dalle importanti risorse su cui poter contare. In Germania, per esempio, esiste la sola Deutscher Akademischer Austauschdienst che opera con un budget annuo di 471 milioni di euro. “In Italia, invece, non esiste alcun equivalente di una simile istituzione. La promozione all’estero è affidata a soggetti diversi: il Miur, Ministero degli affari esteri e della cooperazione, l’Associazione Unitalia, la stessa Crui. I risultati di una simile frammentazione di azioni non possono che essere inferiori alle esigenze”.
In Italia gli studenti stranieri rappresentano soltanto il 4,62% degli iscritti, 78mila in valore assoluto. In pratica un quarto rispetto alla Francia e un terzo rispetto alla Germania
I punti di forza
Eppure il Sistema Universitario italiano avrebbe più di una carta vincente da poter giocare. Per esempio quella di essere una potenza scientifica mondiale: “Nel periodo 1996-2014 – ha ricordato Rugge – la produzione totale di articoli scientifici la pone all’ottavo posto nel mondo; la produttività dei ricercatori ponderata con gli investimenti in ricerca la vede al terzo posto, di poco dietro al Canada”. L’Italia, inoltre, è decima al mondo come destinazione di studio preferita dai ragazzi, seconda tra i soli statunitensi. Se non fosse, però, che questi vanno poi a rinchiudersi nelle sedi italiane delle università americane. Eppure da un’inchiesta condotta quest’anno dalla Wharton School della University of Pennsylvania, l’Italia è risultata essere il primo Paese al mondo per influenza culturale, con una lingua, quella italiana, che è la quarta più studiata sul pianeta.
L’eccezione della LIUC-Università Cattaneo
La Penisola, il suo know-how e la sua storia, sanno ancora attrarre dunque. Forse è anche per questo che ci sono degli atenei che riescono a fare eccezione rispetto ad un quadro italiano non certo brillante. Tra queste c’è sicuramente la LIUC – Università Cattaneo, come illustrano i dati presentati dal Presidente Michele Graglia: “Sono circa 240, contro i 168 del 2014/2015, gli studenti stranieri che quest’anno hanno svolto un periodo di stage presso di noi: ragazze e ragazzi che, nella stragrande maggioranza, vivono questa esperienza all’interno del nostro campus creando un’atmosfera multiculturale di grande stimolo”. Non solo: sono 128 gli accordi che la LIUC ha stretto con università di 4 continenti per lo scambio tramite attività Erasmus ed Exchange; 8 gli accordi con università estere per l’ottenimento del doppio titolo di studio; in crescita gli insegnamenti caratterizzati da interi percorsi per la laurea in economia tenuti in lingua inglese; 311 gli studenti che nell’anno 2017/2018 risultano in uscita per un periodo di studio all’estero. Sintetizzando: “Uno studente su due vive un’esperienza di scambio internazionale durante il percorso universitario presso di noi”, ha sottolineato Graglia, per il quale “formare dei giovani con una visione internazionale non significa solo trasmettere conoscenze, ma anche, o soprattutto, offrire esperienze dirette di contatto con culture, abitudini, tradizioni, modi di pensare diversi”. Anche all’interno dello stesso campus di Castellanza. Per dirla come il Rettore Federico Visconti: “In un anno siamo cresciuti del 48% come capacità di far fare ai nostri studenti esperienze all’estero e del 60% in quella di attrarre verso di noi ragazzi da oltre confine”. La formula vincente targate LIUC? Visconti non ha dubbi: “Tanto buon senso e sfida al senso comune”.