La Polha compie quarant’anni

L’associazione polisportiva varesina per disabili arriva a questo importante anniversario fresca dei podi da record a Tokyo. Ma non c’è tempo per prendere fiato. Attenzioni e sforz

L’associazione polisportiva varesina per disabili arriva a questo importante anniversario fresca dei podi da record a Tokyo. Ma non c’è tempo per prendere fiato. Attenzioni e sforzi si spostano sulle opportunità che si aprono ora per le discipline invernali

La Polha c’è: da 40 anni. Un anniversario davvero straordinario, che l’associazione polisportiva varesina per disabili festeggia proprio all’indomani delle grandi soddisfazioni paralimpiche. Sono ancora vivi i ricordi dei campioni tesserati Polha sui podi giapponesi. Ma non c’è tempo di prendere fiato: da un lato l’attività quotidiana che, in tempi di Covid, è diventata una vera e propria impresa e, dall’altro, le speranze di poter essere presenti alle ormai prossime Paralimpiadi invernali di Pechino. In questo caso il condizionale è d’obbligo (ed ha anche un valore scaramantico). Sono infatti due gli atleti tesserati Polha in odore di convocazione, ovvero Riccardo Cardani e Mirko Moro, impegnati nel Mondiale di snowboard a Lillehammer (gara decisiva per conquistare il lasciapassare per Pechino) proprio nel momento in cui questo numero di Varesefocus va in stampa.

PIU’ FORTI DEL COVID
“La pandemia ha davvero cambiato tutto – racconta Daniela Colonna Preti, Presidente della Polha Varese –. Da quando c’è il Covid lavoriamo sempre in emergenza”. E tra le tantissime cose da fare, c’è anche da pensare al quarantesimo anno di fondazione della società e da tenere d’occhio i due atleti in lizza per le Paralimpiadi invernali di Pechino. “Arrivarci – dice Colonna Preti – sarebbe un risultato straordinario, perché come società non abbiamo molti atleti che praticano sport invernali. In più ora è tutto più complicato. Basti pensare all’hockey su ghiaccio: da più di un anno giochiamo all’Agorà di Milano e siamo riusciti ad allestire una squadra insieme a Torino”.
Insomma, il mondo dello sport disabile è davvero complicato e questo dà ancor più valore alle imprese degli atleti. Soprattutto se si pensa che ogni progetto nasce con lo scopo principale di mettere in campo un’attività di avviamento allo sport. “Il nostro obiettivo – continua Colonna Preti – è quello di far praticare sport a più persone possibili, perché in tal modo si avvia un percorso importante sia sotto il profilo fisico che psicologico”. Non a caso la Polha è affiliata a 8 Federazioni sportive differenti. “Apriamo i settori in base alle richieste degli atleti – spiega la Presidente –. Il nuoto è certamente la nostra punta di diamante, anche perché come per l’atletica, è più semplice avere a disposizione le strutture sportive per praticarlo. Però non ci siamo mai sottratti dall’affrontare nuove sfide”.

DALLA VASCA ALLA NEVE
Come accaduto con Riccardo Cardani, 29 anni, che a causa di un incidente in moto ha perso l’uso del braccio destro. Anno 2017: inizio di una nuova vita. Che, guarda a caso, parte dall’acqua di una piscina come atleta-nuotatore della Polha. “Dopo l’incidente – racconta Riccardo Cardani – ho vissuto un periodo durissimo. Mi sono praticamente trovato solo, perché in quegli anni l’inclusione era ancora solo una bella parola. Poi, giorno dopo giorno, ho reagito. E lo sport è stato una leva importante”. Prima come nuotatore e, poi, il richiamo del primo amore: “Prima dell’incidente praticavo snowboard, così a un certo punto mi sono detto perché non riprovare e grazie alla Polha nel giro di poco tempo ho raggiunto ottimi livelli fino ad arrivare al punto di giocarmi la qualificazione olimpica”.
Riccardo racconta la sua “seconda” vita dal Mondiale della Norvegia: “Quando ho ripreso a fare sport – rivela – non immaginavo che sarei tornato a fare ciò che facevo prima dell’incidente. Anzi, di più e sentendomi ancora più forte”. Insomma, quando Cardani ci parla, le chance di andare a Pechino sono ancora tutte intatte, ma indipendentemente da quale sarà il risultato, la sua vittoria più importante l’ha già conquistata. Di nuovo in equilibrio sul suo snowboard e indossando i colori della Polha. 

La voce dello sport per disabili

Quando lo sport disabile era “afono”, e i campioni vincevano comunque anche se non sotto i riflettori mediatici, Roberto Bof, giornalista varesino, dava voce a un mondo fatto di storie straordinarie, che arrivavano al cuore, ma difficilmente sulle prime pagine dei giornali e dei telegiornali. E ci sono voluti anni e due Paralimpiadi per vedere la narrazione di questo mondo sportivo da un punto di vista diverso, anzi, diciamolo, normale. Ed è proprio Bof a raccontare come da Londra in poi sia tutto cambiato.
In tanti hanno impressi nella memoria e nel cuore i momenti delle serate al cinema Vela di Varese. I fedelissimi, però, sanno andare ancor più indietro nel tempo e custodiscono le emozioni vissute a Villa Cagnola. Perché la straordinaria narrazione delle storie di atleti con disabilità e dello straordinario lavoro quotidiano delle società sportive della provincia di Varese, parte proprio da Gazzada. 
“Ero a militare – racconta Bof – quando per una serie di circostanze ho avuto l’occasione di aiutare un ragazzo rimasto disabile a seguito di un incidente. Dopo di che ho iniziato a seguire un amico che praticava atletica ed è lì che mi si è aperto un mondo. Fatto di persone e storie incredibili”.
Questo è ciò che pochi sanno.
Solo dopo sono arrivati i giochi paralimpici. Che Bof, per quattro edizioni, ha seguito sul campo per raccontarle. “La prima in assoluto fu Torino 2006 – racconta – poi Pechino nel 2008. Qui le cose iniziano a cambiare: scenografie pazzesche, stadi con tantissima gente. Ma lo spartiacque è stata l’edizione di Londra nel 2012. Per questi giochi è stato fatto un lavoro enorme sotto l’aspetto della comunicazione. L’Italia era l’unica nazione presente con ben due televisioni per raccontare l’evento”. Infine, Rio, anno 2016, che incorona regina Bebe Vio, amica di Roberto Bof da ben prima che diventasse la “Bebe nazionale”: “Sono andato a conoscerla di persona a casa sua quando non era ancora la campionessa che ora tutti conosciamo – continua Bof – è stata protagonista in una serata del Vela, ha disegnato una maglia per il Rugby Varese ed è tornata in città a presentare il suo libro. Con lei c’è un rapporto straordinario”.
E ora che il muro del silenzio si è rotto? “Attenzione – ammonisce Roberto Bof – i Giochi paralimpici non hanno più il problema della visibilità. Ma resta tutto lo sport di base. Qui invece c’è ancora molto da fare. In questi due anni le nostre società non si sono mai fermate e per garantire la continuità sportiva ai ragazzi hanno fatto salti mortali. Anche economici. Eppure, i contribuiti pubblici non arrivano poiché ufficialmente l’attività sportiva è ferma”. 

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