La condizione del desiderio

Nell’installazione di Arcangelo Sassolino a Villa Panza, l’incertezza della quotidianità, tra timore del pericolo e speranza nell’arte. Fino al 23 febbraio 2025 è poss

Nell’installazione di Arcangelo Sassolino a Villa Panza, l’incertezza della quotidianità, tra timore del pericolo e speranza nell’arte. Fino al 23 febbraio 2025 è possibile ammirare, nelle sale del polo museale di Biumo Superiore, l’imponente opera dell’artista vicentino, una grande macchina che si eleva e si abbassa, sollevando a turno alle estremità della lunga barra, posizionata sopra il parallelepipedo di una gabbia centrale, due lastre di marmo bianco di Carnia 

Una nuova installazione a Villa Panza sta suscitando la curiosità dei visitatori. Si tratta di un “giocattolo” ad alta emotività firmato dallo scultore Arcangelo Sassolino, “Time Tomb – La condizione del desiderio”. L’opera, un lavoro site specific ideato nel 2009 per lo spazio espositivo Z33 a Hasselt, in Belgio, riadattato per essere accolto nella Scuderia Grande della villa, sarà visitabile in parallelo alla rassegna in corso “Nel tempo, opere dalla collezione Panza”. Mostra da vedere, che già avevamo raccontato trasportandovi tra opera e opera, scollinando lungo gli impervi crinali dell’infinito andare della vita: dove, chi guarda all’arte e al bello come a un messaggio di quotidiana speranza, trova nello scorrere del tempo il giusto monito a riflettere. Gabriella Belli, curatrice della programmazione scientifica e delle mostre temporanee di Villa Panza, ha dunque inserito nel nuovo programma espositivo il primo di una serie di project room con interventi site specific, dialoganti con le opere in collezione, destinati a sollecitare la curiosità dei visitatori. Un programma in armonia con la ricerca e l’attività della villa, ma capace di accendere anche nuovi interessi.

Di tempo, di attese e di immaginifici incontri ci parla, si può dirlo senza tema di smentita, anche questo suggestivo lavoro, accolto come ospite atteso a Biumo Superiore, tra le opere collezionate negli anni da Giuseppe Panza. Perché la colossale, robusta, imponente, eppur emozionante costruzione, fatta di lungo e scrupoloso studio, di abilità progettistica, di paziente e duro lavoro di montaggio, non solo si muove in continuazione, ma ha una voce. Una voce di macchina, figlia del materiale pesante e ferroso di cui è fatta. Che sa di lamento, di trattenimento di un’anima che vorrebbe parlare. La voce cambia, tracima a tratti dalla gran macchina come una lama vibrante di sonorità acute e taglienti, corre nell’aria inerpicandosi verso le rotondità delle geometrie dei muri candidi, poi s’acquieta, facendosi a tratti più fluida, a tratti bassa e monotona, poi quasi sommessa preghiera. Un concerto dove fisica e chimica, meccanica e acustica, si giocano assieme il pieno favore di chi viene introdotto nella vasta sala: accosto ai muri, per ragioni di prudenza. Perché la gran macchina si eleva e si abbassa, sollevando a turno alle estremità della lunga barra, posizionata sopra il parallelepipedo di una gabbia centrale, come un metronomo, due lastre di marmo bianco di Carnia di diversa dimensione, una più piccola, l’altra più grande, sospese a robuste fasce elastiche. Che s’elevano a loro volta fino all’alto soffitto della sala, ne sfiorano le lisce pareti, sopra e sotto. Il primo impatto porta a trattenere il fiato, ma tutto, ti accorgi poi, è stato perfettamente calcolato dall’autore dell’opera con grande perizia ma anche, s’immagina, divertimento e soddisfazione. Lo sforzo dell’elevazione è consentito e favorito dall’incessante lavoro di un compressore ad acqua.

Fa compagnia la presenza della guida, una laurea in filosofia e amore per l’arte e scopri che l’emozione che provi, per quella macchina che si offre in mostra in tanto lavoro e ti stupisce col suo gran daffare su e giù e la sua musica speciale, è condiviso anche dalla gentile compagnia femminile che sarebbe lì per informarti, o confortarti, in caso di timore. E invece subisce a sua volta il fascino robotico dell’obbediente e in fondo ciarliera creazione di Sassolino. Questo consente di trovarti a parlare di emozione davanti a quell’ingranaggio calcolato al millesimo da un ingegnere artista, che potrebbe sembrare aver mischiato, e forse s’è divertito a farlo, sacro e profano. Opera che è conferma di quella “precarietà della vita”, di una perenne “esposizione al danno insuperabile”, tema caro a Sassolino, come sottolineato dalla curatrice Angela Vettese. Chi conosce il percorso di Sassolino, scultore nato a Montecchio Maggiore di Vicenza nel 1967, una laurea in ingegneria meccanica conseguita all’Università di Padova, autore a suo tempo di interessanti brevetti per giocattoli che gli consentono di trasferirsi a New York per 6 anni, sa del suo cammino d’artista, abituato a guardarsi attorno, a viaggiare, a confrontarsi con altri mondi e visioni. Non è un caso che il suo amore per la scultura scattò nel 1994, dopo la visita a una retrospettiva di Matisse al MoMa. Vide i “Cut Outs”, grandi opere collage fatte dall’artista ritagliando la carta con le forbici, quando non poteva più dipingere: “Fu una folgorazione, capii che la scultura sarebbe stata la mia strada”, confessa l’artista. Rientrò dopo due anni in Italia, si stabilì a Pietrasanta e iniziò a lavorare coi marmi.  

“L’arte a volte ha tempi lunghissimi, spesso la vita non basta: ha declinazioni diverse (…). A me interessa il fare, il lasciare che l’ispirazione si imponga, il produrre azioni che vivano di vita propria, che troveranno il loro spazio nel mondo. E questo per me è bellissimo”

Oggi, ormai affermato nel mondo, opera a Vicenza, in una terra che definisce un “Humus ideale”.  La sua ricerca tra arte e fisica, tra meccanica e tecnologia apre a nuove possibilità di configurazione della scultura. Velocità, pressione, gravità e tensione, sono alla base di una ricerca rigorosa. Ha “giocato” nelle sue opere con il cemento, con le bottiglie vuote, con pneumatici e anche con lastre di legno destinate allo sfinimento, allo schianto. Oppure salvate all’ultimo momento come in “Purgatory” e “Canto”, due lavori del 2016. Non salva, invece, in “Damnatio Memoriae”, stesso anno, la statua in marmo lentamente trasformata in polvere da un macchina levigatrice. Sassolino, racconta a Vettese, s’ispira alla realtà quotidiana, a un mondo che si presenta come un eterno cantiere, un’officina del fare e disfare. Un luogo, insomma, di scarso appeal estetico e di grande incertezza. Né preme per avere consenso immediato alle sue particolari, forti proposte d’artista. 

“L’arte a volte ha tempi lunghissimi, spesso la vita non basta: ha declinazioni diverse (…). A me interessa il fare, il lasciare che l’ispirazione si imponga, il produrre azioni che vivano di vita propria, che troveranno il loro spazio nel mondo. E questo per me è bellissimo”. 
Nelle ultime opere prevale la ricerca del divenire, come dice lui “l’ultima ossessione”. “Diplomazija Astuta” (2022), progettata per il Padiglione Malta della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia, è una riflessione su “La decollazione di San Giovanni Battista” di Caravaggio. “Per questo lavoro – scrive Marta Spanevello in catalogo – Sassolino progetta macchine che fondono per induzione l’acciaio a 1.500 gradi, che cade in gocce dall’alto in 7 grandi vasche colme d’acqua. Nel precipitare, per un attimo, prima di dissolversi, l’energia prende forma: la materia si trasforma in una luce vivida che tuttavia al contatto con l’acqua delle vasche ‘sibila, si raffredda e si ritira nell’oscurità’”. 

È del 2023 “No memory whithout loss”, un grande disco a parete ricoperto di colore ad olio. La rotazione del disco su se stesso produce un avvitamento del colore, liquido e vischioso, in spirali a loro volta liquide, che finiscono a terra. Spiega l’artista: “Il disco è un organismo che deve essere ricaricato, riportandovi l’olio colato al suolo. Da un lato è soggetto all’impalpabilità del divenire, che conduce alla consumazione della sostanza. Dall’altro resiste alla caduta, a ciò che deve necessariamente accadere”. C’è anche qui il senso di una lotta, quella quotidiana che ciascuno verifica ogni giorno su se stesso, il paradosso dell’esistenza. In bilico tra necessità e desiderio.  

THE STATE OF DESIRE

A cura di Angela Vettese
Testi in catalogo: Gabriella Belli, Arcangelo Sassolino, Marta Spanevello, Angela Vettese

Villa e Collezione Panza
Piazza Litta 1, Varese
Fino al 23 febbraio 2025
Dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle 18.00

Foto di Michele Alberto Sereni, courtesy Magonza

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