Imprese tra boomers e millennials
Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, il 46,7% degli occupati vorrebbe lasciare la propria mansione. Di questi, il 50,4% è un giovane. Tra le ragioni, in primi
Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, il 46,7% degli occupati vorrebbe lasciare la propria mansione. Di questi, il 50,4% è un giovane. Tra le ragioni, in primis, l’impossibilità a progredire in carriera e la mancanza di comunicazione intergenerazionale in azienda. Un malcontento a cui cerca di dare spiegazioni e soluzioni Maria Elettra Favotto, human diamond polisher di Askesis Società Benefit Srl
Come si gestisce in azienda l’incontro tra più generazioni? Cosa chiedono i giovani ai datori di lavoro? Che preoccupazioni hanno i dipendenti con più esperienza di fronte all’ingresso di nuovi talenti con cui lavorare fianco a fianco? Perché le imprese faticano a trovare lavoratori freschi di studi? Queste alcune delle domande a cui cerca di dare risposta Maria Elettra Favotto, human diamond polisher di Askesis Società Benefit Srl, formatrice specializzata nella gestione dei millennials: quei giovani nati tra l’inizio degli anni ‘80 e la metà degli anni ‘90, conosciuti anche come “Generazione Y”.
Non sembrano esserci ingredienti segreti per far nascere ottime sinergie tra i senior e i junior. Non esiste una strategia universale per attrarre talenti. E nemmeno un manuale da seguire per far andare d’accordo le generazioni nonostante le età, talvolta molto distanti, le priorità, spesso differenti e i modi di affrontare le sfide della vita, per ovvi motivi diversi. “Di ricette se ne sentono tante, ma forse non ne esiste solo una corretta – sottolinea Maria Elettra Favotto –. L’importante è essere consapevoli della normale diversità che sussiste tra le persone. Già questo ci aiuterebbe a porci nella maniera giusta davanti e accanto a coloro che andiamo a conoscere”. Perché, come tiene a precisare la formatrice Favotto, “laddove ci sono dei problemi, attraverso delle persone che la pensano in modo diverso, abbiamo la possibilità di trovare maggiori soluzioni che ci possono rendere anche più attrattivi agli occhi degli stakeholder”. Un po’ come a dire che più diversità è presente nell’organizzazione e maggiore è la possibilità di acquisire valore. La propensione all’ascolto e la profonda volontà di creare qualcosa di nuovo grazie a quel saper mettere in comune le conoscenze. È questo, forse, il connubio che fa da chiave per schiudere tutte le porte.
E non è solo una questione di equilibrio e armonia all’interno delle mura aziendali. Bensì anche di costi. Sì, perché, come sottolinea la formatrice, “se non comprendiamo che generazioni diverse hanno valori diversi, se non siamo sensibili ai loro bisogni, se non cambiamo ciò che va modificato per essere in grado di ospitarli, è facile che i giovani talenti fuggano dal luogo di lavoro”. Quindi non si tratta solo della capacità di attrarli, ma anche di trattenerli. Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale (marzo 2023), il 46,7% degli occupati vorrebbe lasciare la propria mansione. Di questi, il 50,4% è una popolazione giovane, mentre solo il 6,3% riguarda i lavoratori più anziani. Ma non è tutto: tra le persone che cambierebbero volentieri incarico, il 41,6% sono impiegati, mentre il 58,6% sono lavoratori con mansioni esecutive; a livello di titolo di studi, invece, il 45,7% sono diplomati e il 37,9% laureati. Tra le ragioni del desiderio di fuggire c’è, in primis, l’impossibilità a progredire in carriera. Un malcontento che accomuna il 65% degli occupati.
Ma perché questa insoddisfazione? Dipenderà forse dalla mancanza di sinergia e di visione? Qual è il clima che queste persone respirano sul luogo di lavoro? “Non vengo coinvolto”. “Mi danno poco da fare”. “Non capisco il senso di quello che stiamo facendo”. Queste alcune delle frasi che la formatrice di Askesis sente ripetere dai giovani. “Non capisco perché comunichino con messaggi privi di formalità”. “Li vedo pigri”. “Vorrei investire in loro, ma non so quanto fidarmi perché se ricevono un’offerta migliore scappano”. Queste, invece, le convinzioni dei vertici aziendali o dei colleghi con più esperienza, che rivelano una difficoltà a capire e a valorizzare i più giovani.
Ecco, allora, dove si inserisce l’importanza dell’ascolto. “Le new entry non possono sapere tutto ma a volte possono stupirci. È da qui che nascono i punti di forza di un’impresa – tiene a chiarire la formatrice –. E poi non potremo mai sapere se il giovane domani andrà altrove, ma se tutti facessimo lo sforzo di investire nella formazione, per ogni ragazzo o ragazza che andrà via, ne arriveranno altri formati da un’altra azienda che ha creduto in loro”. Tra l’altro, la formazione per una crescita sia professionale, sia personale “è ciò che chiedono i giovani di oggi più di altre generazioni”. Una richiesta legata, forse, alla consapevolezza di doversi reinventare più volte, dati i tempi e le trasformazioni in atto. Quello tra senior e junior, allora, è un dialogo intergenerazionale che non può essere una scelta ma una via obbligata, perché fondamentale per la crescita dell’intera realtà lavorativa.
La “gamification”, l’applicazione del game design al contesto lavorativo per il raggiungimento degli obiettivi; il “reverse mentoring”, ovvero quei momenti di contaminazione dove sono i più giovani a fare da mentori ai più adulti; le attività di volontariato in organizzazioni giovanili. Queste, ad esempio, le iniziative utili a diffondere quella cultura ospitale per tutte le generazioni che necessariamente devono coesistere, trasferirsi conoscenze e scambiarsi un sapere non solo pratico. “Si tratta anche di valori, identità e anima aziendale che è bene venga tramandata nel futuro”. Un’integrazione tra senior e junior necessaria, in vista anche di quel passaggio di testimone che non avviene solo tra l’imprenditore a capo dell’impresa e i suoi eredi, ma a tutti i livelli, tra veterani e giovani talenti.