Imparare con il tinkering

Basata sulla sperimentazione diretta, la metodologia didattica nata a San Francisco ha come scopo l’insegnamento delle materie scientifiche a bambini e ragazzi attraverso la realizzazione di ar

Basata sulla sperimentazione diretta, la metodologia didattica nata a San Francisco ha come scopo l’insegnamento delle materie scientifiche a bambini e ragazzi attraverso la realizzazione di artefatti artigianali, costruiti con materiali di uso comune. Un ottimo bilanciamento tra creatività ed ingegno, che inizia a prendere piede anche nelle scuole del Varesotto 

Si possono imparare le basi dell’elettromeccanica con un cestino della ricotta? La domanda può sembrare bizzarra, eppure la risposta è sì. Questo l’obiettivo del Tinkering: nata a San Francisco ma basata su studi condotti dal Mit di Boston, questa metodologia didattica interattiva ha lo scopo di far avere a bambini e ragazzi un approccio diretto e immediato alle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), passando prima dalla pratica, e poi infine, alla teoria. Grazie al Tinkering, termine che deriva dall’inglese “to tinker”, che letteralmente significa “armeggiare”, gli studenti sviluppano diverse competenze come la creatività, il lavoro di squadra e il problem solving. Il modus operandi è semplice: l’attività parte con una sfida rivolta agli alunni da parte del docente. I bambini, divisi per gruppi, ricevono un sacchetto al cui interno sono presenti diversi materiali di riciclo di svariata natura e funzione. Gli studenti sono quindi invitati ad ispezionare il sacchetto, scoprendo gli oggetti a loro disposizione. Successivamente devono rispondere alla richiesta dell’insegnante di creare un artefatto che può andare dal ponte autoportante di Leonardo alla creazione di una catapulta. 

“Oltre allo sviluppo delle competenze classiche come l’ingegnosità e la creatività – racconta Mauro Sabella, docente di laboratorio di chimica all’Istituto d’Istruzione Superiore Andrea Ponti di Gallarate e pioniere in provincia di Varese del metodo Tinkering – ai bambini è permesso anche copiare nel corso di un’esercitazione di questa metodologia didattica. Capita infatti che un alunno, guardando il lavoro dei compagni di classe, riesca a sviluppare un’idea in più rispetto ad un altro che magari ad un certo punto del laboratorio si è bloccato. Questo è utile sia per chi ha copiato, per capire il procedimento necessario per arrivare ad un certo punto dello sviluppo del lavoro, ma soprattutto per chi è stato copiato, perché insegna che a tutto c’è una soluzione, anche se non in maniera immediata”. 

Con questa inversione dei poli, si ha un approccio atipico alle discipline Stem, permettendone una conoscenza e un apprendimento più trasversale. Grande importanza viene data anche alla sostenibilità, elemento cardine di questa metodologia. È grazie, infatti, al recupero di diversi materiali che vengono realizzati “i lavoretti” dai ragazzi: dal rotolo di carta igienica, alle penne o i tappi, tutti questi oggetti possono avere una seconda vita, didatticamente utile. “Un marchingegno che faccio realizzare quasi sempre – continua Sabella – è lo Scribbling Machine: una sorta di robot realizzato partendo dal cestino della ricotta, un piccolo motore a pile, tre pennarelli e dei cavi. Assemblando questi oggetti insieme, quasi tutti recuperabili in casa, si riesce a creare una sorta di automa in grado di disegnare. Si riesce così a fare ingegneria e alta sostenibilità insieme”. Questo tipo di metodologia viene utilizzata principalmente nelle scuole primarie, ma non mancano esempi anche nelle scuole superiori, dove si usa una sorta di evoluzione della tecnica primaria, ovvero l’Ibse, educazione scientifica basata sull’investigazione, in cui vengono applicate le cinque “E”: Engagment, Explain, Explore, Elaborate ed Evalute (coinvolgi, spiega, esplora, elabora e valuta). 

L’apprendimento passa direttamente dalle mani di ragazzi e bambini che, tramite la creazione di artefatti mobili, hanno un primo approccio alle discipline Stem, imparando sul campo le leggi che stanno dietro a determinate reazioni fisiche o chimiche

Dato che alle maggiori conoscenze e capacità tecnico-manuali degli adolescenti piuttosto che dei bambini, vengono abbinate creazioni di veri e propri circuiti, l’uso del Tinkering risulta più immediato ed efficace nelle scuole secondarie. Al di là della didattica scolastica, poi, le attività di collaborazione con lo scopo di creare un prodotto vengono utilizzate anche in realtà aziendali come ad esempio nel Team Building, ottenendo però da parte dei partecipanti un coinvolgimento diverso da quello che si ha con i ragazzi: “Spesso gli adulti – dice Sabella –, davanti a richieste come quelle di realizzare artefatti andando un po’ alla cieca, si sentono spiazzati e capita che non sappiano come intervenire: questo fa capire quanto poco siano stati abituati a mettersi in gioco in questo modo”. 

Se per alcune scuole il Tinkering rimane circoscritto ad attività laboratoriali occasionali, per altre fa parte di intere schede didattiche svincolate dall’insegnamento classico e più improntato su lavori manuali, in cui l’apprendimento passa dall’esperienza. La cosiddetta “Scuola senza zaino”, presente in provincia di Varese a Sumirago, a Ranco e a Saltrio, è basata sul senso di comunità e collaborazione della classe in cui si favoriscono responsabilità e acquisizione delle competenze nei bambini. “Si lavora molto sull’engagement – conclude Mauro Sabella – e sul rapporto diretto insegnante-conoscenze-alunno. I bambini di oggi sono sempre più bombardati da stimoli esterni, che, nel tempo, hanno causato un grave abbassamento nel loro livello di attenzione. È quindi necessario cambiare il metodo di insegnamento, così da coinvolgere maggiormente gli alunni, rendendoli più attivi alla conoscenza e alla collaborazione, utile sia in classe, ma anche in un futuro lavorativo”.   

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