Il welfare è partecipazione

La costruzione di un benessere collettivo, attraverso la cura del singolo. La capacità di tenere distinti i fondamenti di un’economia di mercato proiettata al bene comune, da un capitali

La costruzione di un benessere collettivo, attraverso la cura del singolo. La capacità di tenere distinti i fondamenti di un’economia di mercato proiettata al bene comune, da un capitalismo richiuso nell’individualismo. La sostenibilità di un modello pubblico-privato che possa essere più giusto, prima di tutto a livello generazionale. Qual è la vera partita in gioco? Come sarà possibile mantenere un sistema d’assistenza come quello italiano? Come dar vita a una politica sociale moderna? Qual è il ruolo delle imprese? A provare a dare una risposta a queste domande è Pierangelo Albini, Direttore Area Capitale Umano, Relazioni Industriali e Welfare di Confindustria

‘‘Se a livello aziendale si fa welfare per convenienza piuttosto che per convinzione, è meglio smettere subito. Mai come in questo momento occorre riflettere su cosa stia accadendo alla nostra società e alla nostra economia, a causa delle trasformazioni della struttura del tessuto produttivo, dell’organizzazione del lavoro e, soprattutto, della denatalità. Occorre trovare le giuste chiavi di lettura per garantire sostenibilità”. Pierangelo Albini, Direttore Area Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Confindustria è intervenuto al primo incontro del ciclo di formazione “Oltre il welfare aziendale: prospettive e strumenti operativi” organizzato da Confindustria Varese in collaborazione con Univa Servizi, nell’ambito del Progetto “People, l’impresa di crescere insieme”, a cui hanno preso parte oltre 100 partecipanti di realtà produttive del Varesotto. Segno di quanto il tema dell’inclusività sia sentito all’interno di un sistema manifatturiero varesino (e non solo) alla ricerca di lenti interpretative di un mondo del lavoro in profondo cambiamento. A confermarlo è lo stesso Albini in questa intervista rilasciata a Varesefocus. 

Cos’è oggi il welfare e perché è sempre più necessario per le imprese riflettere su questo tema?
Ci sono due elementi che connotano in maniera chiara la dimensione sociale del nostro Paese: la democrazia e il welfare state. Per questo motivo è importante prendersi cura anche di questo secondo aspetto. Si tratta, infatti, di un elemento identitario che fa parte del nostro modo di essere, che ha radici profonde nella nostra cultura e che, peraltro, consente di dare un senso compiuto sia al lavoro che al fare impresa. Queste radici sono nel pensiero medioevale del francescanesimo, negli scritti di San Bernardino da Siena e oggi nella dottrina sociale della Chiesa. Quando San Bernardino, nel ‘400, scrive il trattato sui contratti e sull’usura distingue chiaramente il valore etico del prestito di denaro. Questo è “peccato” quando avviene per fini speculativi, appunto, per usura ma, è ben altra faccenda, concedere denaro per avviare attività economiche destinate a generare ricchezza con benefici anche per la comunità. Questo pensiero ha posto il fondamento della cosiddetta “economia di mercato”, nata 200 anni prima del capitalismo, da cui si è sempre ampiamente differenziata proprio per questo suo fine ultimo: la creazione di ricchezza deve avere delle concrete ricadute anche sul bene comune. Ciò ha inevitabili ripercussioni sui moderni modelli di welfare state come quello italiano, caratterizzati da una cittadinanza attiva, in cui ciascuno deve sentirsi responsabile anche della crescita della comunità a cui appartiene e concorrere al suo progresso “materiale e spirituale” come dice la nostra Costituzione. Questa è l’anima del nostro sistema di welfare. 

Quindi il welfare, in un certo senso, va inteso come uno strumento per andare oltre l’individualismo?
Il welfare è essenzialmente una dimensione plurale e lo è per sua stessa natura. Se c’è una cosa difficile, in un periodo di individualismo come quello in cui ci troviamo, è proprio la riscoperta della dimensione plurale del vivere. Basti pensare alle nuove tecnologie informatiche che, paradossalmente, ci connettono a grandi reti ma ci consentono di vivere e di lavorare in un sempre maggiore isolamento. Il welfare, sia nella dimensione nazionale del welfare state sia nella dimensione del welfare aziendale, aiuta a comprendere il senso di appartenenza ad una medesima realtà sociale ed economica. Non solo diritti ma anche doveri, quindi, con le conseguenti responsabilità che discendono dall’essere parte attiva di una collettività che dovrebbe essere inclusiva e crescere in modo omogeneo. Al centro delle politiche di welfare c’è, senza ombra di dubbio, l’uomo ma nella sua dimensione plurale. Il singolo, dunque, come parte di una collettività. Avere coscienza di ciò è il primo passo per fissare priorità e obiettivi che è, anzitutto, il compito della politica. Un buon sistema di welfare si costruisce, infatti, a partire dai bisogni delle persone, si alimenta con il desiderio di soddisfarli ma, inevitabilmente, deve fare i conti con le risorse disponibili. Vale per lo Stato ma anche per le aziende. Del resto, le misure del welfare non sono tutte uguali e spesso bisogna scegliere, pensiamo, tanto per fare un esempio, alla salute: fra prevenzione (un bonus per la palestra) e cura (una polizza per il rimborso delle spese mediche) la differenza è evidente. Resto convinto che l’interesse generale e una sana prudenza che, in fondo, è la virtù cardinale del welfare, debbano sempre guidare le nostre scelte.

“Mai come in questo momento occorre riflettere su cosa stia accadendo alla nostra società e alla nostra economia, a causa delle trasformazioni della struttura del tessuto produttivo, dell’organizzazione del lavoro e, soprattutto, della denatalità. Occorre trovare le giuste chiavi di lettura per garantire sostenibilità”

Quali sono le sfide principali sul fronte del welfare?
Le principali sono due, legate fra loro: la sostenibilità del sistema e il rispetto delle regole. Il fatto che l’Italia abbia oggi un sistema di welfare generoso non significa che sarà così anche domani. Il nostro Paese destina al welfare, inteso come pensioni, sanità e assistenza circa 517 miliardi, più della metà di tutta la spesa pubblica, circa un terzo del Pil e il 60% di tutte le entrate fiscali e contributive. È importante ricordare queste proporzioni e iniziare a preoccuparsi della loro sostenibilità nel tempo. Bisogna studiare le proiezioni demografiche, gli effetti sulla società e i suoi bisogni, nonché le ricadute occupazionali che le transizioni in atto stanno determinando nella nostra economia. Fatto ciò, si potrà aggiustare la rotta e fissare nuove regole generali da rispettare. Ecco la seconda sfida: nessuna riforma è “per sempre” ma non c’è nessuna riforma se, una volta fissata una regola, non la si rispetta. Basta guardare alle pensioni per rendersi conto di ciò: fatta una regola, è accaduto da ultimo con la legge Fornero, si comincia a violarla con “salvaguardie, quote e eccezioni”. Il welfare non può essere il terreno su cui la politica consuma le sue battaglie elettorali perché, come noto, queste ultime hanno un orizzonte temporale “a breve o addirittura a brevissimo”, mentre il welfare state ha come orizzonte anche e soprattutto, il benessere delle generazioni future. In questa prospettiva mi pare di poter dire che le sfide sono tutte nel campo della politica. 

Quindi, cosa si può fare per raddrizzare il tiro?
Come Confindustria, abbiamo rappresentato al Governo questa duplice preoccupazione dentro la quale c’è il grande tema della equità nella distribuzione dei costi e dei benefici. Il nostro sistema è stato, infatti, disegnato in un contesto demografico ed economico molto differente da quello attuale e oggi presenta iniquità, piccole e grandi, che devono essere riparate. In questa prospettiva abbiamo avanzato alcune proposte per un intervento di riforma “graduale ma organico” con ricadute positive sul fronte del costo del lavoro che resta un tema intimamente connesso a quello del welfare. Il nostro sistema, va riconosciuto, è fra i più generosi al mondo ed è alimentato dalla fiscalità generale e dai contributi che imprese e lavoratori versano ogni mese. Non si può certo mantenere un sistema di questa dimensione senza darsi pena, anzitutto, di rafforzare la spina dorsale manifatturiera che sostiene questo Paese e gli consente di essere una delle più forti economie del mondo. Questo è, senza dubbio, il compito arduo della politica ma, in secondo luogo, un contributo importante deve venire, seppur in chiave sussidiaria, dalla contrattazione collettiva che può rafforzare quelle tutele che lo Stato costruisce sul fronte della previdenza, della sanità e dell’assistenza. Anche su questo punto, Confindustria ha avanzato alcune proposte per rafforzare quel welfare contrattuale di cui tanto si discute.     
 

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