Il nuovo senso del lavoro

Flessibilità di orario, smart working, conciliazione dell’impiego con la vita privata, sistemi di welfare aziendale che favoriscano l’educazione dei figli e l’assistenza dei

Flessibilità di orario, smart working, conciliazione dell’impiego con la vita privata, sistemi di welfare aziendale che favoriscano l’educazione dei figli e l’assistenza dei genitori anziani. La leva economica per attrarre e fidelizzare i talenti rimane centrale, ma per le aziende è ormai iniziata una nuova era trainata dall’approccio che le nuove generazioni (e non solo) hanno con l’occupazione. La fotografia dello spaccato varesino e i risvolti nelle relazioni industriali

‘‘È in atto un cambiamento culturale che riguarda in particolar modo i giovani e che investe le imprese, portando un dinamismo nuovo nel mondo lavorativo. Le persone nel lavoro non cercano più solo un riconoscimento economico, ma un senso, un motivo di realizzazione personale e valori da condividere”. Valentina Crespi è la Coordinatrice dell’Area Relazioni Industriali, Lavoro e Welfare di Confindustria Varese. Un punto di osservazione privilegiato sulle trasformazioni in atto nel rapporto tra lavoro e vita privata e sui nuovi modelli organizzativi che le aziende stanno adottando per adattarsi ai nuovi scenari attraverso innovativi modelli di welfare. 

Come sta cambiando il mondo del lavoro?
La pandemia ha fatto da detonatore di alcune cariche latenti. Fino a cinque anni fa i colloqui di lavoro vertevano tutto su retribuzioni e giorni di ferie. È su questi due elementi che si è sempre giocato l’accordo tra lavoratore e impresa per l’assunzione e l’inserimento in organico. Oggi sempre di più l’attenzione, soprattutto dei giovani, si sposta anche su altri fattori. Intendiamoci, la busta paga rimane un aspetto importante, sia per attrarre talenti, sia per la loro fidelizzazione nel tempo. Ma oggi sempre di più viene chiesta alle imprese un’attenzione crescente per i benefit intangibili. Per esempio, la capacità di conciliare il lavoro con la vita privata, l’ambiente lavorativo stesso, i valori che l’azienda promuove nella comunità. Le persone nel lavoro cercano un senso, un motivo di realizzazione personale. Cercano un significato per la loro persona. In questo senso, la richiesta crescente di poter fare smart working è un segno tangibile dei tempi.

Questo cosa significa per le imprese?
Sono chiamate a cambiare completamente il proprio modello organizzativo. È soprattutto richiesto loro di dotare i propri responsabili che si occupano di gestione del personale di nuove competenze. Delineare prospettive di crescita, formazione, percorsi di carriera chiari: questi sono i temi cui deve rivolgersi l’attenzione dell’hr manager “in chiave moderna”. Deve esserci un approccio più concentrato sul welfare in senso lato. Il Progetto “People, l’impresa di crescere insieme” di Confindustria Varese nasce proprio con lo scopo di accompagnare le aziende del territorio in questa trasformazione, che non è meno impattante di quelle riguardanti la sostenibilità o la digitalizzazione. Anche e soprattutto sulle persone, sulla capacità di attrarre talenti e saperli coltivare e fidelizzare si gioca la partita della competitività.

In questo scenario come si posizionano le piccole e medie imprese?
Da una parte molte Pmi sono in difficoltà nell’interpretare con strumenti concreti questa trasformazione. Parliamo di realtà che, giocoforza, non hanno le stesse capacità organizzative o le stesse risorse delle grandi aziende o delle multinazionali in prima fila nella creazione di progetti evoluti di welfare. Proprio per questo servono progettualità territoriali come People, che siano in grado di fare massa critica nei confronti dei fornitori di servizi di welfare aziendale per spuntare le migliori condizioni di mercato e per creare una diversa cultura nel sistema produttivo. Dall’altra parte, però, il mondo delle Pmi ha importanti carte da giocare sul tavolo delle richieste che giovani e meno giovani avanzano sempre di più nei confronti delle imprese, proprio sul fronte della realizzazione personale.

In che senso?
Da una parte i giovani sono attratti dalle grandi multinazionali, soprattutto quelle che si fanno portatrici di valori come la sostenibilità, il benessere sociale, la transizione ecologica. Realtà dove riescono a intravedere con maggiore chiarezza percorsi di crescita professionale che si sposano con la propria visione del mondo. Dall’altra parte, però, c’è anche il fenomeno di chi (giovane o no) è alla ricerca di catene di comando più corte, di un rapporto più diretto con i vertici aziendali e con la proprietà. Persone che decidono di dimettersi dalle grandi aziende con stipendi più alti, per accettare incarichi con una busta paga anche più leggera, ma con una maggiore responsabilità all’interno dell’organizzazione aziendale, maggiore flessibilità e ampiezza di azione nel proprio ruolo. In questo senso la Pmi può garantire un ecosistema maggiormente in grado di garantire un certo tipo di realizzazione professionale e personale.

Insomma, non c’è una taglia aziendale grande, media o piccola che meglio si presta a interpretare i tempi e i cambiamenti del mondo del lavoro.
Direi di no. Ogni organizzazione è in grado di trovare la propria voce. Anche sul nostro territorio.

Cambiano anche le relazioni industriali?
Inevitabilmente. Il confronto con il Sindacato si fa più dinamico, con diverse sfumature da settore a settore. Rispetto ad una volta, sui tavoli c’è maggiore attenzione alla costruzione di sistemi di welfare che non considerino solo l’aspetto economico del lavoro. Permessi per l’assistenza dei figli o dei genitori anziani, flessibilità di orario, smart working: la contrattazione oggi si arricchisce di nuovi temi che mettono al centro non solo il lavoratore, ma la persona.

In fatto di dimissioni, qual è il trend varesino? Anche sul territorio si registra quel fenomeno crescente che, secondo gli ultimi dati, contraddistingue lo scenario nazionale?
L’onda delle dimissioni record non è arrivata in maniera così marcata sul nostro territorio. Ciò dipende probabilmente anche dalla vocazione manifatturiera del sistema locale. C’è una crescita del turnover, ma non è così forte come quella che caratterizza il settore servizi. Di certo i più scatenati in questo senso sono i giovani. Non sono infrequenti i casi di ragazzi sotto i 35 anni che lasciano un lavoro che non condividono o che non li realizza senza avere un’alternativa. È una cultura del lavoro completamente diversa.  

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