Il lavoro entra in carcere

L’idea è più semplice di quanto si pensi: l’agenzia per il lavoro Randstad Italia Spa, secondo player a livello mondiale nei servizi HR, in collaborazione con Lavorazione Sis

L’idea è più semplice di quanto si pensi: l’agenzia per il lavoro Randstad Italia Spa, secondo player a livello mondiale nei servizi HR, in collaborazione con Lavorazione Sistemi Lasi Spa di Gallarate, operante nel settore elettronico ed elettromeccanico, ha assunto alcuni ragazzi detenuti nella Casa Circondariale di Busto Arsizio, che lavorano fisicamente all’interno del carcere ma con medesimi diritti e doveri dei dipendenti dell’azienda. Una possibilità, quella di far lavorare i detenuti, che non sembra impossibile da replicare e che porta con sé un carico di intuibili vantaggi a livello di rieducazione e socializzazione: eppure se ne parla poco.

Come nasce l’idea

Come spesso accade, da uno spunto personale. Valeria Monateri, sales development manager di Randstad, dovendosi occupare di un progetto di orientamento per la Base Nato di Solbiate Olona entra in contatto con il carcere di Busto Arsizio, inizialmente per un progetto similare, ma cogliendo, in fase di definizione, un fondamentale bisogno: trovare occupazione ai detenuti. Afferrato subito il valore della sfida, la declina in maniera operativa, cercando un’impresa partner, e la propone in Lavorazione Sistemi Lasi, sapendo di trovare terreno fertile. E, infatti, la reazione dell’imprenditore Giuseppe Boggio, titolare dell’azienda è immediatamente positiva, nessun dubbio per lui ma nemmeno per i dipendenti cui viene chiesta la disponibilità a strutturare un percorso di tutoring in carcere e che accettano con grande entusiasmo. Nessuna remora o pregiudizio verso quelli che in fondo sarebbero diventati i nuovi colleghi? “No, anzi manifestano sin da subito disponibilità totale a dare una mano per questo progetto”, racconta Giuseppe Boggio.

Dall’idea ai fatti

Coinvolto il Provveditore Regionale del Ministero di Grazia e Giustizia, responsabile delle attività lavorative di tutte le carceri lombarde, Luigi Pagano, definiti i termini della Convenzione con il Direttore della Casa Circondariale, Orazio Sorrentini, sviluppato il progetto con l’area trattamentale del medesimo istituto, si è cominciato ad allestire, da parte di Lasi, il laboratorio produttivo e, lato Randstad, a incontrare i detenuti segnalati per partecipare al progetto. Selezionati i 6 partecipanti, si parte con l’iter formativo, in parte teorico (la sicurezza, le leggi, come per tutti i lavoratori) e in parte di competenze specifiche (materiali e attrezzature utilizzate, prove di saldatura). Tre i ragazzi assunti ad oggi; da un punto di vista operativo, si occupano di assemblare schede elettroniche e sono, a detta dell’azienda, anche piuttosto bravi.

Perchè portare avanti un progetto simile

Andiamo a fondo sul perché portare avanti un progetto del genere, che implica tempo e impegno, oltre che, probabilmente, una buona dose di carica emotiva. “Si tratta di un incontro di idee che risponde ad una necessità” racconta Valeria Monateri. “In Lombardia ci sono 18 strutture tra Case Circondariali, di Reclusione e Speciali, eppure questa è un’iniziativa quasi unica nel suo genere. La maggior parte delle attività in carcere, infatti, sono gestite da cooperative sociali; a Busto, per esempio, ci sono, oltre a una cioccolateria, un piccolo laboratorio di confezionamento ed imballaggio di articoli elettromeccanici, una sartoria e un laboratorio teatrale (raccontato anche da Varesefocus nel numero 7/2017). Ma le attività non sono gestite direttamente dall’impresa: questa è un’esperienza quasi del tutto inedita”. Un progetto così può essere considerato un apripista per altre iniziative simili. Per le aziende ci sono vantaggi fiscali e detrazioni, per il detenuto, oltre che poter partecipare al proprio mantenimento con la retribuzione percepita, evidenti maggiori possibilità di reinserimento sociale al termine della pena o anche prima del termine della stessa grazie all’articolo 21 L. 354/1975 che consente di avere permessi giornalieri per andare a lavorare direttamente in azienda. 
Non dimentichiamo che le statistiche parlano chiaro: per chi esce dal carcere senza aver partecipato a progetti finalizzati al reinserimento c’è una recidiva di circa l’80%. Se pensiamo che su circa 8.500 detenuti in Lombardia lavora solo l’8%, è evidente che si può e deve fare di più.

Com’è stato affrontare questo percorso

Ma com’è stato entrare in carcere ed intraprendere questo percorso a tu per tu con persone che hanno commesso dei reati? “Non abbiamo avuto paura, se questa è la domanda” racconta Valeria Monateri. “Certamente, quando entri, e ti si chiudono le porte dietro le spalle, è inquietante: in quel momento riesci a comprendere cosa significhi non essere libero. Se mi permettete un neologismo, noi non riusciamo a ‘mentalizzare’ davvero cosa voglia dire stare tutto il giorno in uno spazio ristretto, senza poter far nulla. Questa esperienza te lo fa percepire. Non c’è paura: i detenuti sono rispettosi, contenti di vederti, di raccontarsi, di lavorare e questo ha un grande valore”.

Ma i ragazzi mettono impegno nel lavoro o è solo un modo di occupare il tempo? “Lavorano bene, sono molto motivati e, soprattutto, hanno voglia di imparare”, racconta Giuseppe Boggio. “Ed è questo quello che conta. Con il passare dei giorni hanno accresciuto le competenze tecniche aumentando la produttività e la qualità, raggiungendo gli standard dei colleghi in azienda. Ciascuno di noi può fare un piccolo pezzo e, nonostante fossi un po’ restio a raccontare la nostra esperienza, è importante che tutti sappiano che si può fare”. La sensazione dopo ogni visita ai detenuti che lavorano in carcere è la stessa sia per Valeria Monateri che per Giuseppe Boggio: “Ci sentiamo di aver fatto qualcosa, nel nostro piccolo, di socialmente utile, non una beneficenza fine a se stessa, ma un’opportunità di svolta per chi ha sbagliato e sta pagando il suo debito con la giustizia”. 

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