Il baricentro economico ormai è a Est
Dalla dittatura dei numeri al respiro degli scenari. Chi di noi in questi ultimi anni non ha pensato, almeno una volta, di non riuscire più a capire cosa stesse realmente succedendo all’e
Dalla dittatura dei numeri al respiro degli scenari. Chi di noi in questi ultimi anni non ha pensato, almeno una volta, di non riuscire più a capire cosa stesse realmente succedendo all’economia, quando, in un sol giorno, sulle pagine dei quotidiani si vedono comparire notizie di indicatori della produzione, degli ordini, dei consumi e delle aspettative in netto contrasto? Quando un giorno l’economia americana cresce ed il giorno successivo cala improvvisamente?
Il ritrarsi degli Usa. La voglia di protagonismo della Russia. La progressiva affermazione della Cina. Le preoccupazioni crescenti per il fenomeno senza confini dello “Stato parassita” del Califfato. E poi ancora Internet, con il suo potere aggregativo delle persone e quello distruttivo degli usi. Lo scenario disegnato dal XX Rapporto sull’economia globale e l’Italia del Centro Luigi Einaudi
Siamo quotidianamente sottoposti a stress da shock informativo: solamente l’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica, in un mese corto come quello di febbraio ha emesso 20 comunicati stampa (su 21 giorni lavorativi) a cui si aggiungono quelli dei principali istituti di ricerca economica italiani ed internazionali.
Sappiamo tutto. Sappiamo troppo. Ma perdiamo di vista l’essenziale.
Diventa difficile in queste condizioni prendere le decisioni giuste. Ciò vale sia per gli imprenditori, sia per i politici e amministratori pubblici. Fa quindi piacere, ogni tanto, avere l’occasione di fermarsi a riflettere ed elevare lo sguardo all’orizzonte, guardando oltre il micro-dato. Tornare a cercare i punti cardinali ed i riferimenti polari di quando non c’era il GPS e si sapeva ancora navigare a vista. Interpretare i fenomeni che si stanno costruendo intorno a noi e non solo a registrare i fatti e reagire agli stimoli.
Un buon aiuto può venire da XX Rapporto del Centro Luigi Einaudi sull’Economia globale e l’Italia, realizzato in collaborazione con UBI – Banca Popolare di Bergamo e presentato alla LIUC – Università Cattaneo. Titolo: “La ripresa, e se toccasse a noi?” Si tratta di uno di quei libri di economia che aiutano a sviluppare uno sguardo d’insieme dei fenomeni, una helicopter view, che spesso ci manca, trascinati, come siamo, dalla congiuntura.
Sono invece tante le trasformazioni di lunga durata in atto che meritano una riflessione più approfondita e fotografano situazioni singolari in campo geo-economico, politico e tecnologico.
A partire da quel “baricentro di gravità” dell’economia mondiale che si sta allontanando da noi e sta tornando, assai velocemente, verso Est.
Che i Paesi asiatici siano tornati ad essere una potenza economica mondiale dopo centinaia di anni – in virtù dei pesi economici, ma anche demografici – lo abbiamo capito un poco tutti, ma il vedere la rappresentazione grafica di questo fenomeno, ricostruito dal McKinsey Global Institute ed inserito nel Rapporto Einaudi, da un lato incuriosisce e dall’altro fa meditare sulla rapidità delle trasformazioni in atto. Il baricentro economico aveva impiegato quasi 1.000 anni a spostarsi verso Ovest, attirato dal crescente peso relativo dei Paesi avanzati. Già nella seconda metà del secolo scorso aveva invertito la rotta e stava tornando verso le longitudini europee, ma ora, in appena 10 anni, ha ripercorso al contrario, in tempi da record, un terzo del suo cammino millenario. Con previsioni di tornare assai velocemente verso l’Asia Centrale nei prossimi 15 anni. Ciò è avvenuto in virtù del sorpasso economico realizzato nel 2008 tra Paesi avanzati e non. Un trend che non si è arrestato e ci dice che nel 2020 arriveremo ad un’inversione dei pesi economici specifici rispetto a quelli degli anni novanta: con i Paesi avanzati che passeranno dal 64,1% del 1990 al 39,3% atteso nel 2020 ed il resto del mondo che passerà dal 35,9% al 60,7%. Pesi economici e demografici destinati a segnare anche gli equilibri geopolitici del pianeta.
La rilettura dei pesi economici si salda con quella della trasformazione degli equilibri geo-politici mondiali: con il progressivo ritrarsi degli Usa, con la debolezza della Seconda Europa (quella che è nata dai processi di unificazione dei mercati e delle monete), con la nuova voglia di protagonismo della Russia, con l’emergere del fenomeno del Califfato (una sorta di “Stato parassita” senza confini propri che si annida e cresce in altri Stati come una matrioska), con la progressiva affermazione della Cina in ambito economico e non solo. Insomma l’implacabile avanzare di un mondo multicentrico che si accompagna ad uno sciame sismico di assestamento competitivo tra aree.
Assistiamo così, ad esempio, a fenomeni di “dumping energetico” con il crollo dei prezzi del petrolio al di sotto dei punti di pareggio costi-ricavi della maggior parte dei Paesi. Fenomeni che ci mettono di fronte a situazioni sinora giudicate economicamente al limite del paradosso, come quella che spinge, oggi, ad augurarsi che il prezzo del petrolio risalga per mantenere equilibri di competitività e non veder indebolirsi importanti settori da quello dell’impiantistica sino a quello aeronautico di nuova generazione.
Il successo di Internet, osserva il Rapporto, è paradossalmente uno degli elementi che più stanno determinando la perdita di peso delle stesse economie che gli hanno dato vita
A completare il quadro del cambiamento entrano in gioco le innovazioni che stanno impattando sulla nostra vita quotidiana. Prima tra tutte Internet con il suo incredibile potere aggregativo tra le persone e, l’altrettanto incredibile, potere distruttivo degli usi e dei comportamenti. Una tecnologia così radicale e trasversale che interagisce con tutte le tecnologie di produzione e con quasi tutte le attività di distribuzione e di consumo. Così vediamo l’affermarsi dal lato produttivo della “Fabbrica 4.0”, una manifattura che si pone oltre il confine sinora tracciato dalla semplice automazione dei processi e si salda con l’interconnessione e con l’enorme disponibilità di dati (big data) in rete. Internet, ci ricorda il Centro Einaudi, sta modificando radicalmente il quadro delle scelte del consumatore che, ormai, schiacciando un semplice tasto acquista un numero via vai sempre maggiore di beni e di servizi. Spariscono così intere industrie (come quelle dei dischi, delle enciclopedie, dei giornali cartacei) e ne nascono di nuove. Le vendite elettroniche minacciano quelle dei grandi centri commerciali che ancora una decina di anni fa erano ritenuti la forma “definitiva” del commercio al dettaglio”. Ora le sperimentazioni di Amazon che in aree a grande concentrazione, come su Milano, recapita a domicilio in un’ora e, nel mondo, sta avviando sperimentazioni di consegna con i droni, mettono a repentaglio anche gli investimenti dei grandi sistemi distributivi ma, di contro, potrebbero rimettere in gioco un mondo di piccoli produttori che sappiano trarre il beneficio dalla mole di informazioni sui comportamenti di consumo che la rete permette di raccogliere e di condividere. Si tratta di cambiamenti epocali che si basano su numeri a crescita quasi geometrica: nel 2011 gli utilizzatori dei social network erano 1,2 miliardi di cui il 40% in America, settentrionale, Europa e Giappone, in appena tre anni sono quasi raddoppiati arrivando a circa 2 miliardi. Ed il successo di Internet, ci fa osservare il Rapporto del Centro Einaudi, è paradossalmente uno degli elementi che più stanno determinando la perdita di peso delle stesse economie che gli hanno dato vita. Dal punto di vista geografico quasi la metà degli utilizzatori è ormai concentrata in Asia (Medio Oriente escluso), e in base al numero assoluto dei collegamenti Internet, l’Africa (con il Medio Oriente) ha superato l’Europa nel 2013 e l’America Latina dovrebbe superare Stati Uniti e Canada nel 2016.
Quelli disegnati dal Centro Einaudi sono scenari che richiedono di fermarsi a riflettere. Meglio rallentare e meditare, che correre dietro all’ultima statistica perdendo di vista un contesto che rischia di travolgerci se non riusciremo a governarlo.