Estremamente competitivi
“Perché il futuro non è il posto dal quale ci arrivano le novità, è l’insieme delle nostre conseguenze del presente. Ma qualunque teoria dell’azione è in fondo
“Perché il futuro non è il posto dal quale ci arrivano le novità, è l’insieme delle nostre conseguenze del presente. Ma qualunque teoria dell’azione è in fondo una teoria della prospettiva. E la prospettiva e l’azione sono indissolubilmente legate”. Questa frase, scelta dai ricercatori dell’unità degli studi interdisciplinari per l’economia sostenibile della LIUC – Università Cattaneo e inserita sulla copertina del progetto Bussola per il Casentino, area marginale dell’Appennino in provincia di Arezzo, racchiude in poche battute tutti i significati di un’azione complessa.
Dal Casentino sull’Appennino Toscano, alla “scuola carovana” nelle steppe della Mongolia. O ancora le Ande Venezuelane. La sfida è sempre la stessa: trasformare un elemento considerato negativo, come appunto essere una terra estrema, in un elemento di competitività
Gli obiettivi dell’unità, coordinata dal professor Dipak Raj Pant, erano infatti due: da una parte, dare un orizzonte strategico, dall’altra, creare un percorso che fosse localmente praticabile verso uno sviluppo economico sostenibile. Il piano prevedeva quindi di rilanciare l’economia del Casentino attraverso la cittadinanza attiva degli imprenditori – che hanno risposto alla chiamata -, fornire il supporto per la creazione di nuove imprese e realizzare un marchio per distinguere le produzioni locali. “Saper raccontare un territorio diventa una leva strategica per il suo rilancio e serve anche a creare una coesione interna tra imprese, operatori turistici ed enti locali”, spiega Mark Brusati che ha partecipato alla stesura del progetto.
Per tracciare l’identità del territorio è risultato determinante il focus sulle scuole, soprattutto in termini di prospettive di lavoro perché il questionario proposto in rete agli studenti ha rivelato che i programmi scolastici erano di fatto scollegati dalla realtà produttiva locale. “Gli imprenditori del Casentino – racconta il ricercatore Pierdavide Montonati – hanno dedicato una serie di giornate a incontrare gli studenti per spiegare cosa voleva dire produrre in quella zona, realizzando così un primo collegamento tra scuola e lavoro che prima mancava”.
I ricercatori della LIUC non parlano di luoghi generici, ma di “terra di cuore”, spazio tutt’altro che immaginario dove far convergere il senso di appartenenza dei suoi abitanti, declinato in tutti i suoi significati, a partire dall’economia fino agli affetti famigliari. In questa visione diventa quindi fondamentale recuperare un senso di comunità, senza tralasciare nulla, nemmeno le sagre di paese.
L’unità di studi sull’economia sostenibile ha realizzato una serie di progetti di successo per il rilancio delle terre marginali anche all’estero, come il “mobile community training project”, una missione per realizzare una scuola itinerante per i pastori nomadi delle steppe e della taiga della Mongolia. Una “scuola carovana”, ideata e ritagliata su misura per una popolazione che deve gestire risorse naturali, pascoli, bestiame e commerciare prodotti.
Saper raccontare un territorio diventa una leva strategica per il suo rilancio e serve anche a creare una coesione interna tra imprese, operatori turistici ed enti locali
Riqualificare un settore economico non è semplice e si complica ancor di più se il progetto d’intervento riguarda lo sviluppo rurale sostenibile nelle più alte municipalità delle Ande venezuelane, dove le condizione sono marginali ed estreme allo stesso tempo. In quel caso le linee di intervento dell’unità della LIUC furono tre: l’eliminazione delle pratiche non ecologiche nel settore agro-alimentare con la reintroduzione di colture tipiche; la riorganizzazione delle strutture ricettive e la promozione del territorio come destinazione speciale; il miglioramento del capitale umano attraverso la formazione mirata ad operatori di vari settori e campagne di sensibilizzazione generale.
Altri progetti di sostenibilità sono stati realizzati in Armenia, in India, nella regione dell’Himalaya orientale, e in Sierra Leone. La sfida è sempre la stessa: trasformare un elemento considerato negativo, come appunto essere una terra estrema, in un elemento di competitività, grazie alla tecnologia che permette di utilizzare risorse scarse in modo efficiente. “L’esempio più convincente – spiega Pierdavide Montonati – sono le coltivazioni nel deserto che usano un tipo di irrigazione così precisa e mirata, grazie alla tecnologia, da non sprecare nemmeno una goccia d’acqua. In altre parole si inverte il paradigma scegliendo di fare la cosa più difficile con il massimo dell’efficienza».
“Se si dà un orientamento strategico – aggiunge Luca Maffioli, il giurista del gruppo interdisciplinare – e si sviluppano delle capacità in quella direzione, allora i risultati arrivano. Gli esempi sul territorio sono molti, pensiamo ai nostri vicini di casa svizzeri e al loro distretto del vino, quando hanno iniziato molti dall’altra parte del confine sorridevano”.
Ora però qualcuno anche in provincia di Varese sta imitando i cugini ticinesi e il settore dell’agricoltura, da un secolo a questa parte considerato marginale, attira sempre più giovani in cerca di un futuro sostenibile. “Sul territorio è in atto una diversificazione evolutiva – conclude Stephane Jedrzejzak, l’ultimo acquisto del team del professor Pant -. Mancano ancora modelli di ruolo e i ragazzi non riescono a identificare dei percorsi precisi. Ma creare nuova imprenditorialità in questo settore si può”.