Dire, fare, programmare!
Correvano gli anni ’80 e nelle case di moltissimi adolescenti, divisi in agguerrite fazioni in base ad una precisa scelta di campo tra Sinclair e Commodore, si apprendevano i rudimenti del lingu
Correvano gli anni ’80 e nelle case di moltissimi adolescenti, divisi in agguerrite fazioni in base ad una precisa scelta di campo tra Sinclair e Commodore, si apprendevano i rudimenti del linguaggio Basic su primitivi home computer, spesso collegati a vecchi televisori in disuso. Destreggiarsi con un linguaggio di programmazione era quasi una necessità per poter interagire con questi affascinanti oggetti, magari solo per caricare un gioco dal registratore a cassette o per trovare l’errore in un programmino copiato riga per riga da una rivista specializzata.
Anche i sistemi operativi dei personal computer più evoluti, diffusi perlopiù in scuole ed uffici, avevano a corredo un linguaggio di programmazione, utile alla risoluzione di problemi semplici o complessi che non potevano essere demandati, come si fa oggi, a fogli di calcolo o App scaricabili con un semplice gesto. Era convinzione diffusa che le competenze di programmazione fossero indispensabili anche per l’utilizzo a livello utente dello strumento informatico.
Sono in molti oggi a credere che il “pensiero computazionale” costituisca la quarta abilità di base oltre a saper leggere, scrivere e fare di conto, ed è per questo motivo che si fa strada la convinzione che debba essere insegnato, appreso ed esercitato fin dai primi anni della scuola primaria. Ecco dunque il Coding: l’arte di insegnare a programmare… giocando
Negli anni successivi, l’evoluzione di hardware e software ha via via reso sempre più facile l’interazione con i computer di ogni tipo, grazie allo sviluppo di interfacce grafiche e di applicativi intuitivi di immediato utilizzo. La necessità di acquisire competenze di programmazione, quindi, è passata in secondo piano fino a quasi scomparire: la programmazione si è trasformata nel tempo in un’attività per specialisti.
Ora, però, lo scenario sta cambiando di nuovo. Le accelerazioni tecnologiche che caratterizzano in maniera profonda la nostra società, stanno stimolando riflessioni anche sulla validità ed importanza della capacità di sviluppare algoritmi, scrivere codice, ma soprattutto acquisire la capacità di sviluppare il cosiddetto pensiero computazionale.
Per essere culturalmente preparato a qualunque professione, uno studente di oggi deve necessariamente acquisire una capacità di comprensione dei concetti di base dell’informatica, esattamente com’è accaduto in passato (e come avviene tuttora) per la matematica, la fisica, la biologia e la chimica.
Non sono però sufficienti la dimestichezza e la familiarità con le tecnologie lato “utente” , tipica dei cosiddetti “nativi digitali”: il lato scientifico-culturale dell’informatica, definito anche pensiero computazionale, aiuta infatti a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente. Queste qualità sono importanti per tutti i futuri professionisti e cittadini. Il modo più semplice e divertente di sviluppare il pensiero computazionale è attraverso la programmazione, il coding, in un contesto semplificato, di gioco. Oggi esistono strumenti, basati sulla filosofia dei “mattoncini Lego”, che sono alla portata di tutti e rendono l’approccio alla programmazione qualcosa di molto stimolante e gradevole a tutti i livelli.
I bambini non apprendono la programmazione ?ne a se stessa, ma imparano a usare le conoscenze legate alla programmazione per creare modelli di esplorazione della realtà e di risoluzione dei problemi.
I bambini non apprendono la programmazione ?ne a se stessa, ma imparano a usare le conoscenze legate alla programmazione per creare modelli di esplorazione della realtà e di risoluzione dei problemi
Il pensiero computazionale, quindi, è una competenza utile a tutti e non solo ai futuri informatici.
Per il Presidente degli Stati Uniti la questione è centrale. Per questo ha messo sul tavolo quattro miliardi di dollari di fondi pubblici per promuovere il coding. L’obiettivo dichiarato è che tutti gli studenti americani, dall’asilo al liceo, acquisiscano competenze di pensiero computazionale necessarie per essere protagonisti consapevoli, e non semplici consumatori di software.
Anche in casa nostra la validità formativa del coding sembra confermata e i risultati conseguiti da chi l’ha sperimentato sono più che incoraggianti. Ne è convinto Matteo Locatelli, Cyber Pedagogo, esperto in formazione digitale:
“Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione. Secondo dati del World Economic Forum, il 65% dei bambini che oggi frequentano una classe 1° della scuola primaria, svolgerà nel proprio futuro un lavoro ad oggi inesistente, legato in qualche modo alle tecnologie ICT, o a quello che sarà il mondo ICT nei prossimi 15/20 anni”.
Partendo da questi dati, quali sono le responsabilità del mondo adulto istituzionale?
“Scuole, famiglie, agenzie educative devono promuovere una nuova cultura del digitale e della tecnologia continua Locatelli –. Bisogna raccogliere la sfida per far diventare il digitale e il pensiero ad esso legato strumenti di promozione della persona. Una delle possibilità per fare questo, non l’unica sia chiaro, è promuovere le attività di coding e lo sviluppo del pensiero computazionale che permette ai bambini e ai ragazzi di affrontare sfide cognitive più alte di quelle che normalmente affrontano nelle loro età: il conseguente accrescimento dell’autostima, del ‘io ce la posso fare’, diventa così motore di cambiamento. In questo momento storico, promuovere il cambiamento del mondo da parte di chi dovrà ri-costruire un futuro, è una necessità.”
Per iniziare:
https://scratch.mit.edu/
http://www.coderdojoitalia.org/
http://www.imparadigitale.it/