“Con l’Europa più forti nel mondo”
La sfida di innovare la rappresentanza in una società dove domina la disintermediazione. I punti fermi per una politica economica di lungo periodo. Il ruolo dell’Italia nella Ue. Interv
La sfida di innovare la rappresentanza in una società dove domina la disintermediazione. I punti fermi per una politica economica di lungo periodo. Il ruolo dell’Italia nella Ue. Intervista di Varesefocus al Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, all’indomani della sua partecipazione all’Assemblea Generale di Univa
‘‘Non esiste un’Europa senza l’Italia e non esiste un’Italia senza l’Europa”. Il tema della Ue è stato uno di quelli posti al centro dell’Assemblea Generale dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. E in questa intervista rilasciata a Varesefocus all’indomani della sua partecipazione, il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, sottolinea la vocazione europeista e internazionale delle imprese. Non, prima, però di aver con noi voluto affrontare, non tanto gli argomenti di più stretta attualità, quanto piuttosto quelli legati agli scenari di lungo periodo che attendono il Paese. Sistema Confindustriale in primis.
Come sta cambiando la rappresentanza?
La società sta cambiando velocemente e la percezione nell’opinione pubblica dei corpi intermedi non è più la stessa. Dobbiamo rinnovare e difendere il loro ruolo perché di fondamentale importanza in una democrazia rappresentativa. Vale per noi, per i sindacati e le altre parti sociali: tutti, negli ultimi anni, abbiamo dovuto fronteggiare criticità di varia natura. Il ruolo dei corpi intermedi è fondamentale per le imprese ma anche per il Paese, come presidio di democrazia e partecipazione alle scelte della politica. Confindustria ha scelto di accentuare il suo essere ponte tra gli interessi delle imprese e gli interessi del Paese perché sa bene che può crescere solo una società equilibrata e giusta, attenta a eliminare disuguaglianze e povertà, dove tutti possano aspirare ad avere la loro parte di benessere.
Come Confindustria sta innovando la propria azione per e al fianco delle imprese in un contesto dove sempre più forte e sempre più spesso risuona il termine “disintermediazione”?
Con il patto della fabbrica abbiamo lanciato un messaggio che invitiamo a non sottovalutare: in un momento delicato della vita del Paese le parti sociali si sono compattate mettendo da parte interessi particolari per un grande progetto. Per questo abbiamo ritenuto cruciale concludere l’accordo con tutti e tre i principali sindacati – Cgil, Cisl e Uil -, e ce l’abbiamo fatta. Non è stato facile, ci sono voluti più di un anno di trattative e continui stop and go. Ma il risultato è stato importante e forse storico. Ora dobbiamo dare seguito alle intese e implementarle nel solco dei principi generali nei quali ci siamo riconosciuti. Nel documento oltre che di politica industriale si parla di lavoro, giovani, infrastrutture, formazione. L’occasione è utile per fare una riflessione sul nostro sistema e sulla qualità e efficacia dei servizi che offriamo. Dobbiamo capire come essere più vicini alle imprese sul territorio. Le imprese attraversano un momento difficile, di passaggio da una condizione familiare a una manageriale, e dobbiamo essere in grado di guidarle e accompagnarle.
Quali sono i più recenti e importanti successi che Confindustria è riuscita a ottenere a vantaggio delle imprese e che caratterizzano l’azione di rappresentanza e il suo valore per il sistema economico?
La prima forte innovazione che abbiamo introdotto, trovando un governo sensibile all’argomento, è stata passare dalla politica dei settori a quella dei fattori. Questo in considerazione del fatto che non esistono settori innovativi e non ma aziende innovative in settori innovativi come in settori tradizionali. Si premia, così, l’imprenditore che crede nella sua azienda, crede nel suo Paese, e investe. Nasce così, per esempio, l’impianto logico di Industria 4.0 che ha prodotto strumenti che le imprese hanno imparato a utilizzare come dimostra l’incremento del 30 per cento nel 2017 degli investimenti privati e il forte aumento dell’export dovuto alla ripresa di competitività di un pezzo importante del nostro sistema industriale. Ora dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a quel 60 per cento d’imprese che ancora non ha fatto il salto di qualità ma vorrebbe farlo se ne avesse la possibilità.
Durante le ultime Assise di Verona lei ha dichiarato che l’Italia ha le carte in regola per mettere la freccia di sorpasso sulla Germania per conquistare il primato manifatturiero europeo. Allo stesso tempo la Francia si è posta l’obiettivo di scalzare l’Italia dal secondo posto. In questa gara di competitività, più che di posizioni, quali carte ha da giocare l’industria italiana?
Siamo la seconda manifattura d’Europa e la settima potenza industriale nel mondo e Varese contribuisce in maniera significativa a questo risultato. Ma sono ancora pochi i nostri concittadini che lo sanno e scontiamo un pregiudizio anti-industriale che mal si accorda con le nostre caratteristiche economiche. È vero che in alcuni settori come i macchinari e la filiera dell’automobile siamo leader. Ed è altrettanto vero che la nostra industria farmaceutica è un fiore all’occhiello. Ma ci muoviamo all’interno di un contesto dove le criticità sono ancora molte – tasse troppo alte, burocrazia farraginosa, giustizia lenta, tanto per citarne alcune – e se solo riuscissimo a liberarci di qualche fardello potremmo correre molto più spediti e scalare posizioni nella graduatoria mondiale. Perché no? In fondo abbiamo dimostrato di essere i più bravi. Proprio a Verona abbiamo delineato un piano di politica economica che agisce su un’unica mission, più lavoro, e due precondizioni, più crescita e meno debito pubblico.
La politica sempre più spesso sembra, però, ancorata ad una visione di corto respiro, legata più che altro alla ricerca del consenso. Quali dovrebbero essere le basi di una politica economica di lungo periodo del nostro Paese? Quale la scelta magari impopolare che, però, farebbe comunque bene al Paese e che la politica in questi anni non ha mai avuto il coraggio di prendere?
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una campagna elettorale giocata sul filo di promesse impegnative per le casse dello Stato che già sono molto sofferenti. Governare però è un’altra cosa. Richiede una visione di quale Paese vogliamo consegnare ai nostri figli e la pazienza di fare scelte i cui effetti potranno manifestarsi solo a distanza di tempo. Non ci sono scelte impopolari da prendere, ma solo scelte che vanno spiegate ai cittadini. Va spiegato che prendere provvedimenti che aumentano a dismisura il nostro debito pubblico significa condannare i giovani di oggi a un presente incerto e a un futuro preoccupante. Per questo non si può continuare a discutere solo di pensioni, quando la vera priorità dovrebbero essere i giovani e il lavoro. Forse la politica dovrebbe avere il coraggio di mettere il futuro giovani al centro della sua attenzione, sul serio.
Rimaniamo sul lungo periodo: come vede l’Italia e il suo sistema economico, produttivo e sociale da qui ai prossimi 10 anni?
Siamo imprenditori e quindi per natura ottimisti. Nonostante le giuste preoccupazioni, che non devono paralizzare ma aiutare a cercare soluzioni, abbiamo fiducia nella capacità del nostro Paese, un grande e rispettato Paese industriale, di imboccare la strada giusta. I nostri fondamentali sono buoni e nonostante le difficoltà continuiamo a crescere. Non quanto vorremmo e potremmo, certo, ma sta in noi – come dice il governatore della Banca d’Italia Visco – trovare la forza e la volontà di migliorare. Per essere più forti in Europa e con l’Europa più forti nel mondo.
Può esistere un contesto industriale forte in un’Italia fuori dall’Euro? Perché Confindustria, anche durante le ultime Assise, ha ribadito la sua forte connotazione europeista?
Non esiste un’Europa senza l’Italia e non esiste un’Italia senza l’Europa. Lo abbiamo ribadito anche alla nostra Assemblea e non smetteremo di ripeterlo. Per noi l’Europa e l’Euro sono due dimensioni imprescindibili. Non per questioni di principio ma per il concreto bene del Paese. Questo non vuol dire che in Europa siano rose e fiori. Di problemi da affrontare e risolvere ne abbiamo tanti e ne siamo pienamente consapevoli. Come Paese fondatore della Comunità dobbiamo batterci dall’interno per chiedere o ottenere di recuperare lo spirito dei padri fondatori che s’ispirava alla pace e al benessere. Il patto di stabilità e crescita deve trasformarsi nel patto di crescita e stabilità perché è la prima a garantire la seconda e non il contrario. Dobbiamo proseguire lungo la strada dell’unificazione partendo dalle banche, dalla difesa comune, dalla realizzazione di grandi infrastrutture perché i Paesi d’Europa siano più vicini tra loro e più coesi. E, insieme, più forti nella competizione internazionale per difendere il mercato più ricco del mondo, l’Europa, miglior luogo per le imprese, i giovani, il lavoro.