Come si fotografa un bosco
Spazio alla fantasia per immaginare di ritrarre presenze mitologiche o contorni umani tra radici e tronchi. Ma anche un’occasione per foto da reportage per documentare disastri naturali che sem
Spazio alla fantasia per immaginare di ritrarre presenze mitologiche o contorni umani tra radici e tronchi. Ma anche un’occasione per foto da reportage per documentare disastri naturali che sempre più frequentemente colpiscono anche il nostro territorio. O ancora occasioni per perdersi nei colori intensi e nei contrasti di luce. Continuano le passeggiate macchina fotografica al collo di Varesefocus. I consigli per scatti originali nei sentieri tra gli alberi del Campo dei Fiori, Brinzio e Bedero Valcuvia
Fotografare in natura regala sempre forti emozioni, se poi si decide di farlo in un bosco queste sensazioni sono amplificate; un bosco è un mondo parallelo dove, se abbiamo la pazienza di entrare in sintonia con l’ambiente circostante, saremo in grado di vedere cose che mai ci saremmo aspettati di incontrare e impareremo ad osservare la natura in modo diverso, dando importanza anche ad elementi all’apparenza insignificanti. Ma facciamo un passo indietro: cosa si intende per bosco? Meglio non dare nulla per scontato: “Dicasi bosco un’area di superficie terrestre con estensione minima di 0,2 ettari, formata da un’associazione vegetale di alberi selvatici di alto fusto ed arbusti e da un insieme di erbe che costituiscono il sottobosco, quando le estensioni sono maggiori prendono il nome di foresta”. Chiarito questo primo punto, dobbiamo ora decidere dove fare la nostra prima uscita, e in base a questo fare una scelta dell’attrezzatura da portarci appresso.
Non avendo un’idea precisa di quello che fotograferemo, optiamo per un ampio spettro di lenti, con il quale poter fronteggiare una qualsiasi tipologia di immagine. Decidiamo per tre obiettivi: il primo è un grandangolo. Il grandangolo è quell’obiettivo che ci permette di descrivere un luogo. Il secondo è un teleobbiettivo. Con questa lente “metteremo a fuoco” quello che è il nostro soggetto; lo sceglieremo con una lunghezza focale tale da poter ancora essere utilizzato a mano libera. Infine, una lente di media focale, meglio ancora se macro, con la quale poter fotografare anche a distanza ravvicinata. Come accessori ne porteremo solo uno: un cavalletto fotografico. Se troveremo un soggetto che richiede un minimo di profondità di campo, e quindi tempi più lunghi, lo potremo utilizzare per evitare il rischio di fare immagini mosse.
Partiamo. La prima destinazione è il Campo dei Fiori e precisamente il sentiero che porta dall’Osservatorio Astronomico al Forte d’Orino. La giornata è parzialmente nuvolosa, ma questa condizione, che ai più sembrerebbe avversa, a noi non dispiace; avremo una luce più diffusa, quindi una condizione perfetta per non doverci preoccupare dell’orientamento del sole, e di eventuali fastidiose ombre, che in molti casi potrebbero crearci dei problemi allo scatto. Arrivati all’inizio del sentiero l’amara sorpresa: quel luogo che ricordavamo come un bel bosco di abeti e larici, è diventato irriconoscibile. Un uragano, scatenatosi un paio di mesi fa, ha divelto migliaia di piante, dando a quello che un tempo era un luogo meraviglioso, un aspetto desolante. Ma non bisogna dimenticare che la fotografia è anche documentazione, così facciamo qualche scatto di reportage per mettere in evidenza questo disastro ambientale.
Per dare una idea di insieme, la prima foto che facciamo è da lontano con un teleobiettivo. Non avendo la necessità di una particolare profondità di campo, possiamo lavorare a diaframma aperto, e lo facciamo con un tempo veloce e a mano libera. Per il secondo scatto utilizziamo un grandangolo, mostreremo una delle tante radici divelte che si trovano a mezz’aria. Espletato questo primo compito, decidiamo di cambiare area, non prima però di avere fatto un ulteriore scatto sulla via del ritorno: ci ha colpito una foglia le cui nervature si contrappongono agli anelli di un tronco sul quale si è posata. Ecco l’occasione che aspettavamo per poter utilizzare il nostro obiettivo macro, utilizzando il cavalletto. Facciamo la nostra foto chiudendo i diaframmi per aumentare la profondità di campo e per fare sì che siano a fuoco anche gli anelli del tronco.
Per un’uscita fotografica in un bosco meglio dotarsi di un ampio spettro di obiettivi. Tre quelli suggeriti: un grandangolo, per descrivere un luogo; un teleobbiettivo, per “metteremo a fuoco” il nostro soggetto; una lente di media focale, meglio ancora se macro, con la quale poter fotografare anche a distanza ravvicinata
Dal piazzale dell’Osservatorio ci portiamo più in basso di alcune centinaia di metri, in direzione del Grand Hotel del Campo dei Fiori. Qui lo scenario cambia completamente, gli abeti e i larici lasciano lo spazio a un bosco di faggi. Il faggio è una pianta meravigliosa dalle sembianze quasi umane, ed è un piacere toccare la sua corteccia argentea. Qui cercheremo di fare una fotografia molto più intima, legata alla nostra capacità di immaginare e vedere nelle radici e nei tronchi i personaggi nascosti che popolano il bosco. Per chi non è abituato non è una cosa semplice, ma non bisogna demoralizzarsi se all’inizio non riusciamo a scorgere nulla, ci vuole un po’ di pazienza, poi se riusciamo ad entrare in questa nuova dimensione legata ai sensi, magicamente le creature del bosco appariranno ai nostri occhi. Neppure il tempo di cominciare a cercare, che abbiamo quasi la sensazione che qualcuno ci stia osservando alle nostre spalle; ci giriamo, e a una ventina di metri da noi, su di un albero, ecco apparirci un occhio che sembra fissarci.
Siamo emozionati, è bellissimo, anche qui per una inquadratura precisa montiamo la macchina sul cavalletto. Utilizzeremo un diaframma abbastanza aperto per sfocare un po’ la vegetazione circostante e isolare il nostro soggetto. Dopo questo primo incontro fortunato, passerà un bel po’ di tempo prima della nostra seconda apparizione: poi magicamente ecco la figura di un uomo, è imprigionato dal terreno e sta facendo uno sforzo sovraumano per riuscire a liberarsi. Per mettere ancora più in evidenza il suo corpo e il suo movimento, cerchiamo di pulire la sua sagoma dalle foglie che lo circondano. Ma non sempre è la pulizia il mezzo per mettere in evidenza un soggetto, a volte è l’esatto contrario: è il caso della nostra volpe, dove utilizziamo le foglie e il terriccio per metterne in evidenza la testa. E per oggi la nostra sessione fotografica si può considerare conclusa.
Per la nostra seconda uscita, aspettiamo il bel tempo, vogliamo cercare un bosco con il quale poter esaltare i tipici colori dell’autunno e dell’inverno. Lo troviamo sulla strada che va da Brinzio a Bedero Valcuvia. Qui montato un grandangolo cerchiamo una foto accattivante sfruttando non solo i colori, ma anche la luce che filtra attraverso gli alberi. Ma può esistere un altro modo di fotografare un bosco, magari questa volta in modo più astratto? Noi pensiamo di sì, e ve lo vogliamo mostrare con delle immagini in bianco e nero dove utilizzeremo questa volta la pellicola. Cercheremo nel caos di rami e liane delle forme geometriche ancestrali. Successivamente sovrasvilupperemo il nostro rullo che abbiamo leggermente sottoesposto, per esaltare i contrasti e avere dei neri più profondi.
Riteniamo il nostro lavoro concluso, ma quando improvvisamente alcuni giorni dopo cade la prima neve dell’anno, decidiamo di fare un’ultima uscita. Non cercheremo le solite foto classiche, ma anche qui qualcosa di particolare. Quello che troviamo è un insolito ramo di abete coperto di neve, e un intrigante groviglio di rami. Missione compiuta, possiamo considerare la nostra campagna fotografica sul bosco conclusa.
Alcuni scatti fotografici