Cammin facendo

C’è un percorso che attraversa tutto il nostro Paese: è il “Sentiero Italia”. Più di 7.000 chilometri e 500 tappe. Il trekker Elia Origoni, 30enne di Besozzo, l

C’è un percorso che attraversa tutto il nostro Paese: è il “Sentiero Italia”. Più di 7.000 chilometri e 500 tappe. Il trekker Elia Origoni, 30enne di Besozzo, li ha coperti tutti interamente a piedi (e qualche colpo di remi) in un’avventura lunga otto mesi. Tra pericoli, un ricovero in ospedale e diverse paia di scarpe consumate

Esiste un sentiero lungo 7.000 chilometri, che percorre tutte le regioni dello Stivale (isole comprese): si chiama Sentiero Italia” e si sviluppa in oltre 500 tappe lungo la dorsale appenninica e il versante meridionale delle Alpi. Il cammino è stato ripristinato non molti anni fa dal Club Alpino Italiano, utilizzando in gran parte sentieri già esistenti. Il suo punto di partenza è in Sardegna, per la precisione a Santa Teresa di Gallura e il suo arrivo è a Muggia vicino a Trieste. C’è chi questo percorso lo ha fatto tutto con zaino in spalla, in totale autonomia, percorrendolo interamente, senza utilizzare alcun mezzo di trasporto: si chiama Elia Origoni, ha 30 anni e vive a Besozzo. La sua avventura si è conclusa nel mese di ottobre del 2021.

Elia, da dove nasce la passione per il trekking e come sei arrivato a concepire questo viaggio?
I miei genitori possiedono una casa a Monte Viasco ed è lì che da bambino ho cominciato le mie prime scorribande in montagna. Poi sono arrivate le camminate in val D’Ossola e in Trentino con i miei genitori, le esperienze con tenda e sacco a pelo con gli scout e il desiderio di cimentarmi in viaggi più lunghi. È così che nel 2015 ho pianificato l’Alps Project: 2.500 km a piedi attraversando le Alpi, da Vienna a Genova. È stato in quel frangente, mentre scendevo verso Genova, a viaggio ormai concluso, che ho pensato quanto sarebbe stato bello non fermarmi e proseguire percorrendo tutta l’Italia. Da allora ho pensato solo a quello e nel febbraio del 2021 sono partito per questa nuova avventura in solitaria, che ho compiuto in otto mesi e in totale autonomia.

Avrai dovuto pianificare non pochi dettagli per portare a termine questa impresa.
Sì, ci ho lavorato parecchio. A parte l’aspetto fisico che per me non rappresentava un problema, ho dovuto pianificare l’aspetto dell’alimentazione. Ho studiato una scelta di viveri che fosse di facile reperimento lungo il percorso. Per questo mi sono affidato a una nutrizionista di Castronno: Anita Benati, con la quale abbiamo pianificato un’alimentazione equilibrata, fatta di proteine, carboidrati, fibre, frutta e verdura. Ma non è sempre stato facile trovare gli alimenti che mi servivano e qualche volta ho dovuto ricorrere anche a del cibo liofilizzato. Il secondo aspetto che ho dovuto affrontare, volendo fare il viaggio in totale autonomia, è stato quello di prepararmi per attraversare i tratti marini e lacustri, che mi dividevano dalle isole e dalla terra ferma. Ho così acquistato una barca a remi oceanica di 8 metri e ho cominciato a prendere lezioni di canottaggio per poterla utilizzare nel migliore dei modi.

Da dove è partita la tua avventura?
Sono partito da Santa Teresa di Gallura in Sardegna nel mese di febbraio 2021, l’ho attraversata tutta fino a Villasimius, qui è cominciata la mia parte acquatica fino a Trapani.

Hai avuto qualche problema per la parte acquatica?
No, tutto è filato liscio, sono partito studiandomi bene il meteo e le correnti per non avere sorprese. Dei quattro giorni preventivati per arrivare in Sicilia, sapevo che solo il terzo non sarebbe stato ottimale causa meteo, ma poi nel quarto avrei potuto recuperare e così è stato. Poi attraversata la Sicilia e superato lo stretto di Messina ho risalito lo stivale percorrendo gli Appennini e poi le Alpi.

Come è stato il tuo rapporto con la gente lungo il percorso?
È stato fantastico specialmente al sud. In Sicilia c’è stato una specie di “tam tam” sui miei spostamenti e non c’è stata una sera che non sia stato invitato da qualche parte, nonostante fossimo in piena pandemia. Ho avuto un po’ meno calore umano al nord, ma c’è da dire che ci sono arrivato in un periodo dell’anno, in cui le montagne erano popolate da turisti e quindi la mia impresa passava un po’ in secondo piano.

Sul tuo sito abbiamo letto che chi voleva poteva unirsi a te lungo il cammino: hai avuto qualcuno che ti ha seguito nel percorso?
Sì, ma solo per brevi tratti, fate conto che tenevo dei ritmi molto elevati. Dopo il primo mese di rodaggio, in cui facevo 25-30 km al giorno, ho cominciato a farne anche 40-50 km e quindi diventava difficile seguirmi.

Quali disavventure hai dovuto affrontare?
Una c’è stata e poteva anche concludersi molto male: proprio alla metà del mio viaggio, era il 29 di maggio e stavo attraversando una vallata innevata dell’Appennino Tosco Emiliano a cavallo tra il monte Prado e il monte Cusna. La giornata era molto calda, ma mi sentivo abbastanza tranquillo avendo visto che erano già avvenuti diversi distacchi di neve e quindi mi ritenevo al sicuro da eventuali valanghe. Poi improvvisamente ho visto rotolare un piccolo sasso davanti a me, a cui è seguita una piccola slavina che sono riuscito ad evitare. Rendendomi conto che potesse preludere a un distacco più grande, ho cercato di attraversare la valle il più rapidamente possibile, ma non ho fatto a tempo, sono stato travolto da una seconda slavina che mi ha inghiottito. Per fortuna sono riuscito a liberarmi dalla neve da solo e grazie al trasponder, che porto sempre con me, ho schiacciato il tasto dell’sos, che in automatico ha trasferito le mie coordinate al 112. Essendo il tempo meteorologico non dei migliori ci sono volute tre ore prima che un elicottero riuscisse a trovare un varco nelle nuvole e venisse a recuperarmi. Sono stato in ospedale 10 giorni e a casa in convalescenza un mese e 20 giorni. Nulla di rotto, ma tante contusioni. Il primo giorno mi sono anche un po’ spaventato, non riuscivo più a muovere le gambe, poi piano piano tutto è tornato alla normalità.

Nel periodo di convalescenza hai pensato di mollare tutto?
No al contrario, mi sono caricato emotivamente, volevo portare a termine l’impresa a qualsiasi costo e così è stato.

Cosa hai provato quando sei arrivato in prossimità del traguardo a Muggia, vicino a Trieste?
Mi sembrava impossibile che tutto dovesse finire di lì a breve e improvvisamente ho capito che il momento più bello non sarebbe stato l’arrivo, ma quanto avevo vissuto durante quegli otto mesi di viaggio.

Come ci si attrezza per un’impresa come la tua, quanto pesava il tuo zaino?
Il mio zaino pesava dai 12 ai 15 kg. In quanto all’equipaggiamento, ho cercato di portare il minimo indispensabile: cartografia, zaino, sacco a pelo, materassino, tenda, un piccolo fornelletto per cucinare, vestiario tecnico, scarponi, un piccolo diario dove prendere appunti, una macchina fotografica, un cellulare e dei pannelli solari con i quali ricaricare dei power bank che alla sera mi servivano per ricaricare il materiale tecnologico.

Una curiosità: quante scarpe hai consumato per portare a termine la tua impresa?
Ne ho consumate quattro paia, due alte e due basse a seconda della stagione e del tratto di strada che ho percorso.

Dovessi tornare indietro faresti qualcosa di diverso?
Sì, forse non porterei più la tenda, l’ho usata solo 15 giorni su otto mesi.

Quale è stato il budget giornaliero?
Dai 5 ai 7 euro, ad esclusione dei costi legati all’equipaggiamento.

Hai avuto degli sponsor che ti hanno sostenuto?
Per lo più tecnici. Uno solo mi ha supportato economicamente ed è stato Eolo.

Ora che sei tornato a casa hai in mente qualche altro progetto?
Per ora fare una pausa e ritornare alla mia vita di tutti i giorni, poi tra qualche mese si vedrà.  

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