L’archeologo oggi scava col satellite
Dov´è finito Indiana Jones? L´era delle mirabolanti avventure alla ricerca di mondi perduti è ormai storia del passato. Ora l’archeologo d’azione siede dietro un
Dov´è finito Indiana Jones? L´era delle mirabolanti avventure alla ricerca di mondi perduti è ormai storia del passato. Ora l’archeologo d’azione siede dietro un computer, analizza immagini radar o “multispettrali” prese dai satelliti e dopo ore di confronti punta il dito su una città scomparsa, su un antico insediamento o su un reperto archeologico che si trova sepolto in sedimenti marini.
Una metropoli egizia di 1.600 anni fa, villaggi medievali riportati alla luce tra Basilicata e Puglia, canali Maya del 700 d.C., galeoni e relitti navali della Seconda Guerra Mondiale: sono solo alcuni esempi di recenti ritrovamenti a cui gli studiosi sono arrivati grazie alle immagini scattate dallo spazio
L’ultima applicazione arriva dall’uso di fotografie satellitari di Landast 8, da poco in orbita per studiare il nostro pianeta. Secondo fonti dell’Unesco sarebbero almeno 3 milioni le navi di ogni epoca che giacciono sui fondali di tutto il mondo. Tra questi ci sono certamente i “classici” galeoni carichi d’oro, ma anche navi militari col loro carico di bombe e munizioni e mercantili di ogni epoca e con ogni genere di carico. Fino ad oggi, per cercare uno scafo affondato si poteva scegliere tra due strade: con una nave appoggio (con un laser che scandaglia il fondale) oppure con un aereo (con il radar). Il primo metodo è lento e richiede acque limpide, mentre il secondo è molto costoso. Da oggi si possono utilizzare anche le immagini di Landsat 8, grazie a un metodo di analisi delle foto messo a punto da un team di ricercatori della Royal Belgian Institute of Natural Sciences coordinati da Matthias Baeye e Michael Fettweis. L’interpretazione delle immagini si basa sul fatto che, quando una nave affonda, crea sul fondale una cavità che in particolari condizioni del mare può riempirsi di materiale molto fine. Quando si creano delle correnti d’acqua particolari il materiale fine all’interno della cavità viene risucchiato verso la superficie e crea delle scie ben visibili dal satellite. Non è certo semplice individuare l’oggetto su fondale, ma le prove hanno dato ragione agli occhi esperti dei ricercatori. Essi, ad esempio, hanno messo alla prova il metodo cercando sulle immagini di Landsat gli indizi di alcuni relitti di cui già si conosceva la posizione: la SS Sansip (135 metri), la U.S. Liberty e la SS Samvurn, tutte affondate da mine nel 1944, e la SS Nippon affondata nel 1938. Utilizzando 21 immagini del Landsat 8 gli autori della ricerca le hanno localizzato con precisione.
Secondo fonti dell’Unesco sarebbero almeno 3 milioni le navi di ogni epoca che giacciono sui fondali di tutto il mondo: terreno di caccia per Landast 8, da poco in orbita
Ma c’è molto di più. Grazie a questo tipo di ricerca negli ultimi anni si è portata alla luce una vera e propria metropoli egizia di 1.600 anni fa: si trova 320 chilometri a sud del Cairo e il rinvenimento rientra in un progetto che ha come obiettivo quello di trovare antichi luoghi archeologici prima che questi vengano distrutti o ricoperti da insediamenti dei nostri giorni. “Le analisi satellitari ci hanno permesso di individuare sul terreno un grande centro regionale di commerci tra Grecia, Turchia e Libia”, ha detto Sarah Parcak dell’Università dell’Alabama. Ma questa è solo una delle oltre 400 città che l’archeologa ha già individuato con le immagini satellitari, la più antica delle quali risale a 5.000 anni fa. Stando alla ricercatrice ciò che è stato scoperto in Egitto è solo lo 0,01% di quello che si potrebbe ancora trovare con lo studio satellitare. Ma in cosa consiste questo lavoro? Nicola Masini dell’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del Cnr di Potenza spiega: “Oggi esistono satelliti in grado di osservare la superficie del suolo con dettagli che scendono fino a 60-70 cm e a diverse ‘bande spettrali’, ossia a lunghezze d’onda in grado di vedere anche nell’infrarosso, una lunghezza d’onda che l’occhio dell’uomo non è in grado di osservare. Poiché i complessi sepolti originano variazioni sul contenuto di umidità nei suoli che li ricoprono o sulla vegetazione sovrastante rispetto ad aree vicino (caratteristiche che si osservano con chiarezza proprio nell´infrarosso) se ne deduce come le fotografie riprese dai satelliti risultino una via di grande utilizzo quando si desidera realizzare una ricerca archeologica”. I satelliti italiani Cosmo Sky-Med, lanciati con vari obiettivi, da quello militare a quello ambientale, sono in grado di scandagliare il terreno attraverso il radar. Continua Masini: “Le onde radar possono penetrare il terreno ed essere riflesse con caratteristiche differenti in base a ciò che vi è al di sotto di esso. E’ un sistema ideale quando si vogliono indagare aree desertiche.” Lo stesso Masini ha portato alla luce, attraverso l´uso di immagini riprese dal satellite QuickBird, tracce di strutture sepolte appartenenti a villaggi medievali a Monte Irsi, ai confini tra Basilicata e Puglia.
Tom Sever, un archeologo della Nasa, ha scoperto canali per l´irrigazione scavati dai Maya in Guatemala nel 900 dopo Cristo: servirono per combattere un periodo di grave siccità. Scott Madry, invece, archeologo alla North Carolina University, dopo 25 anni passati sul terreno, utilizza per il suo lavoro Google Earth, il programma che permette di osservare la Terra da satellite attraverso Internet e a cui tutti possono fare accesso. Nell´arco di pochi mesi ha individuato un centinaio di aree nel nord della Francia che risalgono ad abitati celtici. Ma una tale facilità nel scoprire così tante aree archeologiche cosa comporta? “Non sempre conviene portarle immediatamente alla luce – spiega Masini – se non si ha la possibilità di valorizzarle. Ma sapere dove sono permette di impedire di costruirci sopra: lasciare il terreno a copertura può essere il miglior modo per conservarli nel tempo”.