Varese in prima linea sulla bioeconomia
Entro il 2050, secondo le previsioni dell’ONU, la popolazione mondiale arriverà a toccare quota 10 miliardi. Aumenterà anche la crescita dei redditi medi, così come i consu
Entro il 2050, secondo le previsioni dell’ONU, la popolazione mondiale arriverà a toccare quota 10 miliardi. Aumenterà anche la crescita dei redditi medi, così come i consumi, la pressione sulle risorse del nostro pianeta, la domanda di cibo e, di conseguenza, anche i rifiuti e la difficoltà a gestirli. Da qui la necessità di un’inversione di rotta verso un approccio bioeconomico. Obiettivo: disaccoppiare la crescita economica dallo spreco delle risorse naturali, tramite, ad esempio, il riutilizzo dei rifiuti organici urbani e lo sfruttamento degli insetti. Gli esempi, tutti varesini, della Lamberti Spa e dell’Università dell’Insubria
‘‘La bioeconomia è un meta-settore su cui si basa la possibilità per l’Italia di essere sostenibile dal punto di vista ambientale e innovativa dal punto di vista industriale, senza che un aspetto si scontri con l’altro”. A dirlo è Mario Bonaccorso, Direttore di Cluster Spring, il cluster italiano della bioeconomia circolare che rappresenta gli stakeholder di questo comparto. A dimostrarlo, invece, sono proprio le aziende, come la Lamberti Spa di Albizzate: una realtà, nata nel 1911 e attiva nel settore chimico a livello globale, che per accelerare lo sviluppo di prodotti più sostenibili, ha dato vita, al suo interno, a dei gruppi di lavoro multidisciplinari con lo scopo di avviare nuove idee.
“In azienda puntiamo molto sull’innovazione, non solo applicata al polimero, ma a tutti i segmenti della produzione. Combiniamo la competenza tecnologica con la capacità di essere sempre più attenti e capillari sui mercati, da quello della ceramica al personal care fino al tessile e alla carta – spiega Gabriele Costa, Global Product Manager Bio Resins & Additives Surface Treatment Division di Lamberti –. Spesso ci si concentra solo sulle esigenze dei clienti mentre con questi team di lavoro ci si influenza a vicenda e si sviluppano nuove sinergie all’interno della filiera e con i vari cluster, utili per andare incontro e anticipare le richieste del mercato. Ad esempio, per il settore packaging abbiamo sviluppato dei polimeri, derivanti da scarti del settore agroalimentare, in grado di avere delle performance di resistenza al grasso e all’acqua. Allo stesso modo, abbiamo sviluppato dei materiali alternativi, nell’ambito tessile, per sostituire la pelle, così come nell’interior coating, per avere dei polimeri con un contenuto di materiale bio-based in grado di garantire buone performance meccaniche e di ridurre il quantitativo di carbonio”.
È così che la bioeconomia dimostra di essere in grado di raggiungere diversi settori e proporre al mercato alternative di prodotto capaci di essere sostenibili, senza perdere in termini di prestazioni e validità. Ma cos’è esattamente la bioeconomia? Si tratta di un’economia che utilizza le risorse biologiche rinnovabili, provenienti dalla terra e dal mare, per produrre nuovi beni, anche di prima necessità, come, ad esempio, cibo, materiali ed energia. Un approccio che insieme alla sostenibilità largamente intesa e abbinato all’economia circolare, è a tutti gli effetti un driver di rinnovamento dell’industria e di creazione di interconnessioni non solo tra realtà manifatturiere attive in differenti settori, ma proprio di intere filiere. Da quella alimentare, agricola e di acquacoltura, ad esempio, fino a quella chimica. A dimostrarlo sono anche i centri di ricerca e le Università.
Tra quelle in prima linea c’è l’Università degli Studi dell’Insubria: “La scienza abbinata alla creatività permette di non fermarsi al semplice riciclo di composti, ma spinge a produrne di nuovi che siano in qualche modo utili per fronteggiare le sfide dell’umanità – sottolinea il professore dell’ateneo varesino, Loredano Pollegioni –. A questo scopo, abbiamo, ad esempio, sviluppato ProPla, un progetto finanziato da Fondazione Cariplo, il cui obiettivo è degradare la plastica utilizzando dei microrganismi per produrre aminoacidi, ovvero, proteine e potenzialmente food”. Tra le innovazioni messe in campo dall’Insubria, anche altri tre progetti, con scopi differenti ma accomunati dallo stesso punto di partenza: gli insetti.
Una scelta, questa, dettata dal fatto che, come spiega il professore dell’Università dell’Insubria, Gianluca Tettamanti, “circa un terzo della produzione agroalimentare viene sprecato a vari livelli, dal produttore al consumatore, generando rifiuti che costituiscono un problema sia sotto il profilo economico, sia sociale, sia ambientale. Si tratta di un fenomeno destinato a crescere: per il 2050 la stima è quella di una triplicazione dei numeri”. È qui che gli insetti possono venire in aiuto: rappresentano, infatti, risorse in grado di crescere su materiali in decomposizione, come sottoprodotti ortofrutticoli ma anche scarti da industria del vino, della birra e del caffè. Attraverso le larve, ad esempio, si può far fronte ad una duplice necessità. Da un lato, quella di ridurre il quantitativo di rifiuto, dall’altro, produrre delle materie prime bio-based che possono avere diverso impiego, come nel settore dei mangimi per animali.
Lamberti Spa: “Per il settore packaging abbiamo sviluppato dei polimeri, derivanti da scarti del settore agroalimentare, in grado di avere delle performance di resistenza al grasso e all’acqua”
Da qui gli altri progetti dell’Insubria. Il primo: InBioProfeed che, partendo dallo scarto del mercato ortofrutticolo di Milano, ha come scopo quello di produrre delle larve per poi creare mangime per gli allevamenti della trota iridea. Il secondo: Rich, pensato per sviluppare una filiera alternativa volta alla riduzione della Forsu, la frazione organica del rifiuto solido urbano e, al contempo, produrre dei biomateriali con valore tecnologico ed economico. Il terzo progetto, invece, si chiama Nice-Pet: in questo caso, le larve vengono utilizzate come bioreattore per la riduzione di rifiuti a base di Pet, il polietilene tereftalato (resina termoplastica della famiglia dei poliesteri). Anche qui, da un lato viene ridotto lo scarto, dall’altro vengono prodotte delle larve che, in questo caso, non possono essere utilizzate per i mangimi, ma possono diventare comunque fonte di materie prime, come proteine, lipidi e chitine per dare origine a loro volta a nuovi biomateriali.
Tutti progetti, quelli di Lamberti e dell’Università dell’Insubria, che sono stati al centro di un webinar sulla bioeconomia, organizzato, nell’ambito del ciclo di incontri “Le frontiere della sostenibilità”, dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese insieme all’Area Innovazione e Qualità dell’associazione datoriale varesina. “Dedicare del tempo e delle risorse a questo tema è necessario per essere imprenditori al passo con le sfide di oggi – tiene a sottolineare Martina Giorgetti, Presidente del Ggi varesino –. L’approccio bioeconomico promuove un’industrializzazione intelligente, mettendo al centro del suo modello la natura e per noi giovani imprenditori la frontiera delle innovazioni e delle politiche green non è mai stata secondaria all’attività economica. La sostenibilità non è più una scelta ma una via da percorrere per forza”.